U’ Malevèrme: una pubblicazione con un improprio dialetto barese

di Vittorio Polito. È stato pubblicato lo scorso maggio per l’editore Progedit il volumetto di Giuditta Abatescianni “U’ Malevèrme”, contenenti poesie e racconti in un presunto dialetto “barese”.
Dalla lettura di alcune poesie e racconti si notano molti errori e improprietà nella scrittura dei vocaboli, negli accenti, addirittura alcuni vocaboli sono ripetuti, ma scritti in maniera diversa. A titolo esemplificativo riporto alcune parole scritte dalla Abatescianni (tra parentesi il vocabolo italiano): aqquanne/acquànne (quando); pèesce (peggio); arragionà (ragionare); allanùte (nudo); veciarì/veciarjì (macelleria o beccheria); appundammènde (appuntamento); arrunàte (rovinato); nùuve (nuovo); sòope (sopra); amiscìzie (amicizia); gobbètte (gobbo); Bbaàre/Bbàre (Bari); bbùnne (buono) nonòonne (nonna); nòore/nòra (nuora); vattine (vattene); Sròche/sròoche/sròka (suocera). L’ultimo vocabolo è addirittura scritto in tre modi diversi (?). Siamo proprio all’assurdo. È evidente che l’autrice non solo non ha consultato alcun dizionario del dialetto barese, ma ha scritto proprio “a modo suo”, in barba a qualsiasi regola codificata nella letteratura più accreditata.
Quanto sopra, nonostante l’autrice nella prefazione scrive di aver ricercato e consultato «pubblicazioni dei più autorevoli vernacolisti baresi, da F. Saverio Abbrescia, Vito Barracano, Vito Maurogiovanni, Michele Panza ad altri, proprio per la voglia di esprimermi in maniera corretta». C’è da dire che Michele Panza non esiste, certamente voleva riferirsi a Giovanni Panza, autore del volume «La checine de nononne» (Schena Editore).
Mariella Castoro, che firma la presentazione, scrive tra l’altro, che ad Abatescianni piace: «L’insubordinazione alle regole della scrittura dell’idioma dialettale, quelle segnate da puntigliose ricerche semiologiche, grafiche e tipografiche dettate dalla volontà di dare dignità all’espressione attraverso una elaborazione normale sullo studio di nobili predecessori». Allora che bisogno c’era di ricorrere agli autori citati? La presentatrice, infatti, sottolinea anche che «La scrittura di Giuditta ha bisogno ancora di un più rigoroso lavoro di fucina…».
Una parola deve essere riproposta sempre con la stessa grafia, come pure è necessario evitare di riportare parole scritte con più vocali uguali, poste tutte di seguito, perché fanno parte dell’espressione orale: ognuno le pronunci così a seconda delle situazioni. Fa parte della comunicazione orale anche il rafforzamento della consonante iniziale di una parola, l’uso dell’accento, poi, secondo le più elementari norme grammaticali, va osservato e gestito nella maniera corretta, usando convenientemente gli accenti grafici per una migliore pronuncia del dialetto da parte del lettore.
L’autrice in questo volume si è lasciata prendere un po’ la mano ed ha scritto un “altro” dialetto, con sperpero di vocali e consonanti, che non è certamente quello barese, almeno in gran parte del testo, che andrebbe comunque completamente rivisto e corretto.
La pubblicazione di cui si parla conferma ancora una volta che il nostro dialetto è una parlata che ognuno trascrive come vuole.
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