«Da Adàme ad Andriòtte», un romanzo satirico in dialetto barese


di Vittorio Polito. Il dialetto barese ha visto protagonista Domenico Triggiani (1929-2005), attraverso le sue numerose commedie dialettali ed anche per il romanzo storico-satirico in vernacolo barese «Da Adàme ad Andriòtte» (Schena Editore, pagg. 130, € 7.75), scritto con Rosa Lettini (sua moglie), che, oltre ad interpretare le commedie, ha scritto, insieme al marito, anche altre opere in lingua. Lettini ha calcato le scene per sei anni interpretando numerose opere teatrali in lingua e in dialetto, rappresentate in teatro e trasmesse anche in televisione. Ha vinto alcuni premi letterari ed è insignita di onorificenze del Presidente della Repubblica. Domenico Triggiani, scrittore e commediografo, non ha bisogno di presentazioni, pluripremiato con onorificenze varie, il suo nome è annoverato e ricordato in internet, quotidiani, riviste ed enciclopedie letterarie. Questo quotidiano lo ha ricordato in una mia nota del 26 aprile scorso.
Il volume del quale parliamo, anche se datato (1992), è ancora disponibile nelle librerie e si avvale della presentazione di Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), per cui val la pena di ricordarlo. Va anche detto che il romanzo «Da Adàme ad Andriòtte», rappresenta l’unico romanzo satirico scritto nel nostro vernacolo.
Triggiani e Lettini hanno trovato il modo di raccontare ai loro concittadini nella lingua materna, le vicende principali del genere umano, da Adamo ad Andreotti, appunto, cioè dalla creazione del mondo ai giorni nostri. L’interessante novità non vuole essere un libro di storia, ma riporta anche notizie storiche, narrate con un pizzico di piacevole ironia, quella ironia che si affaccia nelle loro commedie. I fatti narrati sono notissimi a tutti.
Gli argomenti trattati? I più vari: dalla creazione del mondo (la criazziòne du mùnne), a Bari da ieri a oggi (Bàre d’aijre a jòsce), dalla nascita di Roma alla morte di Gesù (da la nàscete de Ròme a la mòrte de Gesù). Si parla anche di terrorismo, P2 e malavita (Terròrisme, piddù e malavìte), per terminare con Andreotti e la fine della storia (Andriòtte e la fine de chèssa stòrrie).
Le difficoltà non sono mancate ai due autori, soprattutto per la scrittura del dialetto, cosa non facile, ma che Triggiani e Lettini hanno affrontato seguendo i metodi più accreditati dagli scrittori dialettali di quel periodo e si può certamente affermare che se la sono cavata in maniera soddisfacente.
Il romanzo è tutto uno scoppiettante susseguirsi di altrettanto burleschi punti di vista, resi oltremodo gustosi dall’uso appropriato dei termini.
«Triggiani e Lettini - scrive Melchiorre - mostrano di non voler dare punti a chicchessia, ma di aver voluto, con questa fatica, aggiungere un loro tassello al mosaico della produzione dialettale, evidenziando, insieme alle proprie capacità, un’altra delle infinite possibilità espressive del dialetto».
E, per darvi un saggio del simpatico romanzo, riporto una breve frase ripresa dal capitolo «Fèmmene, polìddeche e jàrte n Itagglie e ijndo mùnne»:
«Pegghiàme chèdda frellìne de Jève ca se facì menì uaggìgghie e nge facì cùdde bèlle servìzzie ad Adàme. Nge piacì a mezzecuà la mèla, ma o pòste de la mèla non petève jèsse nu marange nzerruate? Quanda uà avèsseme scanzàte!
E chèdda frùscke d’Elene ca facì tànde mbadduèsce a Pàride ca cùsse ngurànde de scatenà na uèrre c’avèva derà tànd’ànne, se la caresciò a Troije, la cità ca chiù ijère adàtte a jèdde e non nge tenì mànghe a pertarse drète u casciòne du corrète. Ma ddò ama disce pure ca u marite alla fine riescì a pegghiàlle pu cuèdde e a pertàrsele a la case che la reserve ca ce non ze stève chijète cùdde cuèdde nge u teràve pròbbie accòme se fasce che le gaddìne».

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