Diari da Kinshasa / Il mio mal d'Africa

di Barbara Musciagli. Parlare dell'Africa significa entrare in contatto con se stessi, con le proprie emozioni, mettersi a nudo di fronte agli altri, perchè l'Africa è qualcosa che ti entra dentro e ti cambia.

Quante volte, prima di intraprendere questa bellissima esperienza, ho sentito parlare di “mal d'Africa”; inutile dire che non solo non ci credevo ma non potevo neanche capire cosa fosse.
Ricordo la sensazione che ho provato durante il mio primo viaggio in Africa: l'amore per la mia terra unito alla curiosità e alla paura di un continente per me sconosciuto, quella voglia irrefrenabile di tornare nella mia casa appena ho messo piede ad Addis Ababa e successivamente a Kinshasa, quel conto alla rovescia di giorni e ore che mi separavano dal mio rientro in Italia, e poi il tanto atteso volo verso il Belpaese...

Mentre l'aereo decolla mi sento stringere lo stomaco, una strana sensazione di nostalgia; e nella testa l'immagine di Kinshasa, lo sguardo delle persone che ho conosciuto ed il cielo, si quel cielo notturno africano così vicino a me che ho la sensazione di toccarlo; l'immagine limpida delle stelle e della luna. Eppure Kinshasa non ha niente a che fare con quei paesaggi bellissimi che si vedono in televisione: solo baracche, terra e aria nera... Ma per le successive 24 ore di viaggio continuo ad avere in mente immagini nitide dei fuochi notturni, delle lucciole, delle serate trascorse all'aperto, tra caldo e zanzare.

Non mi rendo subito conto che tutto questo mi manca. Torno in Italia, nella mia casa, tutto ciò che è sempre stato mio che ha costituito la cornice della mia vita mi sembra vuoto, lontano, superfluo e freddo.
E' strano per me poter lavare i denti con l'acqua corrente, farmi una doccia calda e avere la corrente elettrica, ci metto un bel pò di giorni prima di riabituarmi alla vita europea, piena di comodità e agi.

Passano i giorni e la mia testa è sempre a Kinshasa, la voglia di ritornarci è sempre più forte, così senza pensarci due volte, senza conoscere una parola di francese, inglese o lingala, ma solo con quella strana forza che ti dà l'amore e non ti fa rendere conto dei pericoli, a distanza di sette mesi ritorno in Africa.

Questa volta sono sola (il secondo viaggio in Congo della nostra Barbara, ndr), non c'è Raffaele (il presidente dell'ANAC) ad accompagnarmi: questo mi permette di immergermi totalmente nella vita congolese, 20 giorni indimenticabili, tra piogge torrenziali e il caldo asfittico! Quel caldo strano che però fa da cornice alla mia seconda bellissima esperienza di vita congolese.

La gente soffre la fame, la sete, prova dolore, non ha la luce elettrica, l'acqua corrente, muore ancora per colpa di una zanzara; vive in situazioni che vanno ben oltre la povertà, ma sorridono sempre e nei loro occhi c'è sempre quella luce strana che ti regala serenità e speranza.

A Kinshasa ho incontrato la “miseria“, quella vera, quella brutta, quella che ti toglie ogni forma di dignità e ti fa morire in mezzo alla strada nell'indifferenza totale.
La “miseria”, una condizione di vita che noi europei non possiamo neanche lontanamente immaginare perchè troppo lontano da noi, dal nostro tenore di vita, dalla nostra costruzione sociale della realtà.

Purtroppo, i giorni volano via, mi ritrovo nuovamente sull'aereo che mi riporta in Italia in men che non si dica, ma questa volta il distacco da Kin è “doloroso”, non voluto. Inizio ad essere agitata diversi giorni prima della partenza, somatizzo tutto: mal di testa, mal di pancia, colite. Una cosa è certa: non voglio tornare in Italia! Così, quando alcune ore prima della partenza, ricevo i primi saluti, i miei occhi si riempiono di lacrime.



Il pianto non è servito a farmi stare meglio; salgo sull'aereo che mi riporta a casa con un peso enorme sullo stomaco: nella testa ci sono gli occhi dei bambini del villaggio, le giornate trascorse con le suore a Kintambo, i loro canti, le loro preghiere, quelle ore infinite senza corrente, la calorosa accoglienza dei ragazzi dell'ISTA, la messa mattutina, il viso di tutta la gente che ho avuto la fortuna di conoscere, quella pace e quella serenità che da noi non esisterà mai.

Il rientro in Italia è stato a dir poco traumatico: mi sento un'estranea, tutto ciò che c'è intorno non mi appartiene e soprattutto non ha niente a che fare con l'Africa. Mi sveglio la mattina per andare a lavorare, ma intorno a me vedo un paesaggio freddo... artificiale, case perfette, negozi, strade asfaltate, segnali stradali, tutto è pulito, tutto è artefatto. Non riesco ad adattarmi perchè tutto quello che ho in Italia è troppo lontano dalla “Mia Africa”.

Non passano nemmeno 24 ore che già sono su internet intenta a trovare un volo in offerta per Kinshasa. Dopo appena un mese, chiamo il Presidente dell'ANAC chiedendogli di mandarmi nuovamente in Africa: mi risponde che sono pazza! E' infatti passato troppo poco tempo, sono ancora nel pieno della profilassi antimalarica.

A luglio 2011 ricevo la telefonata più bella della mia vita! E' Raffaele (il Presidente dell'ANAC, ndr) che mi chiede “vuoi partire”? I miei occhi diventano lucidi, il cuore va a mille e ho le farfalle allo stomaco, la mia bocca pronuncia 'SI' prima ancora che il mio cervello abbia elaborato la frase. Sono emozionatissima!

Telefonate, mail, in pochi secondi organizzo il mio viaggio, faccio il conto alla rovescia, finalmente arriva il giorno della partenza 30 luglio 2011.

Questa volta viaggio di giorno, quasi 24 ore di viaggio che volano in un secondo e finalmente sono nella mia amata Kinshasa, pronta a vivere una nuova bellissima esperienza.
Anche questa volta l'Africa mi ha regalato tanto, nuovi amici, la loro bontà d'animo, nuovi momenti di condivisione, quelle cene al buio indimenticabili, non per il cibo ma per la difficoltà a vedere cosa ci fosse nel piatto, la vita a Mt Ngafula, modi diversi di pensare e vivere.

In Africa ti accorgi che le stagioni non significano niente e che quella pioggia così impetuosa è una presenza importante e positiva; il tempo scorre così lento che ti permette di entrare in contatto con te stesso, di guardarti dentro e imparare. Puoi dedicare parte del tuo tempo alle relazioni umane che qui in Europa abbiamo quasi dimenticato a causa della fretta, dello stress e della frenesia quotidiana. Riscoprire la bellezza dello stare insieme, della condivisone.

In Africa il cielo non ti sovrasta, ti attraversa, l'aria non si respira, si assapora, il tempo scorre, non corre, la gente non t’incrocia, ti saluta. Tutto è vero, anche le cose spiacevoli, perché tutto è vita.

Il mal d’Africa è qualcosa che senti nella testa, nella pancia e nel cuore. E' quel male che ti fa imparare a perdere tempo dietro una grossa lucertola dalla testa gialla o rossa, è osservare la gente intenta ad accendere il fuoco, a spazzare la sabbia nera, è il cinguettio della moltitudine di uccelli congolesi che ti svegliano prima ancora del sorgere del sole, è emozionarsi davanti a un tramonto, è imparare a non innervosirsi...

Il mal d'Africa è quello strano e stupendo senso di malessere, difficile da spiegare a chi non ha avuto la fortuna di “incontrare l'Africa” nel suo cammino. E' una malattia senza guarigione. E' una cosa difficile da spiegare ai "non malati".

Soundtrack: "African skies" di Paul Simon

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