Un libro sulle tradizioni baresi

di Vittorio Polito. È stato pubblicato in questi giorni il volume di Michele Fanelli “Tradizioni baresane” (Progedit). Disegni di Saverio Romito.
Gli argomenti sono numerosi tra storie, mestieri scomparsi, credenze, usanze e cucina, finalizzato a tramandare ai posteri usi, tradizioni, leggende, indovinelli, proverbi, ricette, detti, dialetto. Nonostante la lodevole iniziativa di Fanelli e la sua partecipazione ad un’associazione che ha tra gli scopi l’approfondimento del dialetto barese, si nota la fretta con cui è stato scritto il volume, dal momento che vi sono molti errori di stampa ed imprecisioni, soprattutto per quanto riguarda il dialetto. Sono riportati, infatti vocaboli scritti con uno strano e talvolta incomprensibile vernacolo, che certamente non corrisponde a quello di casa nostra. Una ulteriore prova che il dialetto ognuno lo scrive a suo piacimento. Il fatto che più desta sorpresa è che il presentatore del volume, presidente del seminario di studi ed approfondimento permanente sul dialetto barese, scrive «Ho letto, tutto di un fiato, la bozza dello scritto sulle tradizioni…», evidenziando così solo la velocità della lettura, senza far caso a come è stata scritta la parte dialettale. Inoltre il presentatore scrive di Michele Fanelli: «…strenuo difensore della lingua dialettale barese…», ma di quale lingua, quella personale (?).

Sta di fatto che scorrendo le pagine del volume, si notano alcuni vocaboli, che si vogliono far passare per dialetto barese, inesistenti nei dizionari attualmente disponibili. Si tratta forse di neologismi? Ne riporto alcuni: cuestue (salvadanaio), comà (comare), acchemide (d’accordo), ham’avè (dobbiamo avere), scie (ascia), mizze (mezzo o metà), s’affatte (si è fatto), ciaciate (ubriaco), die (giorno), Die (Dio), colascione (fannullone), anzògne (riferita ad un arma), ammenuie (buttalo, gettalo), vetregne (giorni feriali), n’hamascie (dobbiamo andare), achhemmanà (comandare), cia aguande (chi prende), ciù (se), mascheue (maschio), amangande (mancante), ngnore (nero).
Ancora una volta abbiamo la conferma che il dialetto ognuno lo scrive come gli pare e piace secondo grammatiche e vocabolari del tutto personali, mettendo in difficoltà chi si accinge alla lettura dei contenuti di questi testi.

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