I mille volti dei bambini di Kinshasa

di Barbara Musciagli. Fino a qualche settimana fa in tv andava in onda uno spot pubblicitario volto a promuovere l’adozione a distanza dei bambini della Repubblica Democratica del Congo. Il piccolo schermo delle nostre case veniva rotto dagli occhioni di un bambino congolese che diceva “ vivo in un paese ricco perché povero”. Una frase assai toccante perché rappresentava in maniera sintetica e scarna la realtà della R.D.C, uno stato dell’Africa centrale dagli orizzonti e paesaggi stupendi della foresta equatoriale, del maestoso bacino del fiume Congo. Un Paese dalle grandi miniere d’oro, diamanti, coltan e rame; un Paese tanto ricco ma anche tanto povero, un Paese sottomesso ancora “schiavo” delle grandi potenze europee. Un paese dove la gente non ha sogni, non ha futuro perché i loro compagni di vita sono la povertà, la malattia, la fame. Un paese dove la parola délestage, il cui significato è “ oggi mangio domani no”,  riecheggia per le strade, perché nella RDC, come in altri paesi dell’Africa, mangiare è un lusso e riuscire a mangiare ogni giorno è impossibile.
Molti genitori scelgono di rinunciare alla loro porzione di cibo per far sì che i loro figli possano consumare un pasto che è sempre al di sotto del soddisfacimento dei bisogni nutrizionali di ogni essere umano. Ma la fame non è l’unica piaga di questo immenso Paese, che è sempre a metà tra il reale e l’irreale, tra il visibile e l’invisibile… usi, costumi e superstizioni popolari segnano il destino di milioni di bambini a poche ore dalla nascita; come, ad esempio, i bambini stregoni, i famosi enfant sorcier e/o Sheguè o, come dicono a Kinshasa, Ndoki,  letteralmente “rifiuto”, bambini da buttare, figli del diavolo. La loro sfortuna? Nascere ammalati, albini, epilettici, deformati o semplicemente iperattivi. A volte basta che si fulmini una lampadina al momento del parto ed il neonato viene considerato figlio del diavolo. Chi ha la “fortuna” di nascere in famiglie che hanno i soldi per chiedere aiuto ad un esorcista appartenente alle numerose sette presenti in Congo viene sottoposto ad una serie di torture; bruciature, mutilazioni, ferite ecc., per scacciare il demonio. Chi invece non ha questa “fortuna” viene buttato per strada. In ogni caso, a parte la morte dovuta alle ripetute torture, il destino di questi bambini è la strada! E’ qui che si riuniscono, si radunano in bande con una organizzazione gerarchica tipo militare, di giorno vivono di elemosina, piccoli espedienti e furti, di sera si nascondo nei boschi, nelle case abbandonate e nei cimiteri. Le bambine sono costrette a prostituirsi già all’età di 4-5 anni dai ragazzi più grandi. Sono le ragazze di strada. Bambine costrette a diventare adulte troppo presto, bambine giocattolo nelle mani di adulti, bambine a cui non è permesso giocare con le bambole, bambine che in tenera età conoscono il peggio della vita. Bambine buttate per strada perché nate in una famiglia numerosa e sfamare un’altra bocca in Congo è sempre un problema. Bambine a cui almeno uno dei due genitori è morto e il nuovo compagno del genitore vivente non le accetta perché sono un problema. Bambine vittime di soprusi e violenze costrette a prostituirsi per pochi franchi congolesi, per un tozzo di pane.
Ma il destino di milioni di bambini congolesi non è solo questo. Alcuni di loro sono bambini soldato, ragazzi al di sotto dei 18 anni affiliati a gruppi militari governativi e non a gruppi politici armati. I bambini soldato vengono educati alla morte alla distruzione, nella loro testa c’è solo il desiderio di uccidere per sopravvivere, vengono utilizzati per posizionare mine ed esplosivi di cui spesso restano vittime, essere utilizzati come esche, spiare, essere utilizzati come schiavi sessuali, bambini il cui primo giocattolo è stato un fucile, una pistola una mina.

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