Kallentoft, estate di afa e terrore in Svezia

Francesco Greco. La quindicenne Josefin Davidsson è violentata in pieno giorno fra i cespugli del parco della Società di Orticoltura, dove regna un odore di “alcol, vomito e preservativi usati”. Era uscita per fare un giro in bicicletta (una Crescent rossa a tre marce, che chissà dov’è finita), ha trovato il “dono nero”: forse è stata “penetrata da un oggetto artificiale anzichè da un membro virile”. Nessuno ha visto niente, come nella Sicilia da acquerello del ‘900 in b/n. Prima di abbandonarla le hanno lavato le ferite con la candeggina, “come per purificarla”, o “per non lasciarle addosso capelli o altro che potesse ricondurre all’aggressore attraverso il test del dna”, o forse solo per sconcertante stupidità (citazione della banalità del male). Lei non ricorda niente, o quasi: “In testa ho solo il vuoto”. Una ragazza un po’ strana: “MySpace? Le chat? Che barba!”.

   Neanche il tempo di metabolizzare l’orrore che un’altra ragazzina, Theresa Eckeved, “molto carina”, sparisce nel vuoto sfatto dalla canicola. Siamo a Scampia? A Parigi fra i sans-papièr? Nel suk barocco del Cairo? Le favelas pulsanti di varia umanità di Rio? Macchè, nel Nord Europa, in Svezia: il luogo meno probabile in cui delitti di questo genere possono avvenire, almeno stando all’aneddotica che una pubblicistica dozzinale ha contagiato a noi europei mediterranei sempre in credito di miti che poi risultano posticci. “Nessuna delle due sembra esistere davvero. Sono come ombre di polvere nella città d’estate, invisibili e senza nome, quasi adulte, indistinte…”.

   I primi sospetti cadono sui loro coetanei, ben torchiati dagli inquirenti che frugano nei chiaroscuri tipici dell’adolescenza: ambigui quanto si vuole, ma incapaci di pensare a tanto orrore. Poi, tanto per confermare che sotto la globalizzazione tutto il mondo è paese e il razzismo è una piaga difficile da rimarginare ovunque, sugli extracomunitari che a Linkoping sono una folta comunità. Troppo facile, però. “Shakbari e Karami, colpevoli di aver fatto sesso una notte intera con una ragazza completamente ubriaca. Incriminati, ma assolti…”. E infatti l’opionione pubblica progressista reagisce sdegnata al sillogismo di un tassista: “Sono dei mascalzoni! Non fanno niente dalla mattina alla sera. Bisognerebbe buttarli tutti nel termoconvertitore…”. Come nel cuore nero della Padania, i pregiudizi dei leghisti alla Borghezio.

   Ridestata la città dal “caldo sopore estivo”, le indagini sono condotte dall’ispettrice dell’Anticrimine Malin Fors, che mentre sente “la solitudine colare lungo le pareti”, fa pensare d’istinto al Tenente Colombo e alla collega delle “Jene” nel film di Quentin Tarantino (quella era incinta, Malin è invece in ansia per Tove, la figlia 14 enne in vacanza ed è separata da un marito giramondo, ma non disprezza avventure di letto). La pista da certa diventa probabile. Il tutto nell’estate “più calda a memoria di uomo”, in una “città intorpidita assieme ai suoi abitanti”, piena di “gente che cerca l’ombra” e che pare eccitare i peggiori istinti.

   Anche “Buio d’estate”, Editrice Nord, Milano 2011, pp. 412, € 9.90 (traduzione efficace di Alessandro Storti), il secondo giallo di Mons Kallentoft (il primo, “Sangue di mezz’inverno”, fu un caso letterario di cui parlò il mondo, 300mila copie in patria, traduzioni in 12 paesi d’Europa) mantiene le promesse, e le premesse. Lo scrittore svedese si rivela abile nella costruzione delle atmosfere inn cui cala gli eventi e i personaggi. A partire da quel caldo soffocante , “l’invisibile bomba H dell’estate”, che annebbia le idee, smorza la tensione, mitiga gli orrori come se intendesse prestarsi da alibi oggettivo alla violenza psicologica e materiale, a comportamenti patologici. La prosa di Kallentoft è asciutta, evocativa, a tratti onirica e delirante, come in un trip. E questo la rende di una efficacia solare.

   Un “mostro” dunque si aggira per la cittadina svedese di Linkoping, che somiglia maledettamente a una qualsiasi città di un qualunque angolo del mondo. Lacera il bozzetto bucolico che media sociologici ci hanno costruito: il male è ovunque, specie dove non te l’aspetti e dove non appare perché “la violenza sessuale è uno dei grandi flagelli del nostro tempo”. Gli inquirenti svedesi non ne hanno una buona opinione: “E con i media come facciamo? – chiede Malin al collega Sven - Non ci vorrà molto prima che si avventino sui casi di Theresa e Josefin come zanzare assetate di sangue”. Come i nostri che si occupano di “non-verità politicamente scomode”, che si attaccano morbosamente a Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea, Federica Mangiapelo, ecc. Tv del dolore, escrescenza della modernità. Svezia vs Italia vs pianeta: via col vento del degrado etico, della morbosità, del gossip parametro per misurare la realtà.

   L’orrore e la violenza si abbattono sui più deboli. Un’accusa che ci tocca intimamente tutti. I bambini non rappresentano più “un’ascesa”, ma un brand di consumo. Noi e loro non rappresentiamo più “il sentimento di un amore infinito”. Ogni innocenza è compromessa, infangata, forse irrecuperabile. Ogni Eden è perduto. Kallentoft ci sbatte in faccia la terrificante verità.

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