Bruno Contrada senatore a vita?


Francesco Greco. Bruno Contrada senatore a vita? Magari con un’intesa trasversale a destra, sinistra e “neutri” (M5S)?
Sarebbe un bel segnale di distensione, di civiltà politica, di fine della stagione giustizialista, di pacificazione nazionale dopo una campagna elettorale all’insegna di veleni, populismi, menzogne, che ha dato un quadro politico contraddittorio, tendente all’instabilità e all’ingovernabilità, che ha fatto crollare i mercati, schizzare in alto lo spread e rinvigorito gli appetiti della speculazione internazionale sulla pelle di un Paese stremato, alle prese con la “sindrome greca”, che non sa cosa fare: un governissimo “di scopo” (riforme costituzionali, nuova legge elettorale, gli adempimento dovuto che l’Europa chiede, ecc.), o tornare al più presto alle urne.

   Il nuovo Parlamento, età media 45 anni alla Camera e 53 al Senato, col 31% di donne, prima o poi dovrà completare l’organigramma dei senatori a vita: ne mancano due, deceduti nella scorsa legislatura. Il Presidente della Repubblica emerito Francesco Cossiga e la scienziata premio Nobel Rita Levi-Montalcini. Uno in “quota” al centrosinistra, l’altro al centrodestra.

   ItaliaNotizie.net lancia la “candidatura” a senatore a vita di Bruno Contrada, “fedele servitore dello Stato”, protagonista, suo malgrado, di una storia tutta italiana che ne ha fatto un “martire” della libertà, stritolato da meccanismi anonimi quanto implacabili e violenti, come nei romanzi di Franz Kafka poiché, come ripete, profeta che urla nel deserto da anni “chi combatte la mafia rischia il fango”. Parole pesanti come macigni, che trasfigurano concetti ancor più pregni di significati, di pathos, ma come dice lo scrittore Elias Canetti, “noi parliamo e le parole ci passano oltre…”.
   L’amara, surreale parabola di Contrada, il “calvario” infinito sarebbe meglio dire, accettato con una fierezza che mette soggezione e una dignità che impone il silenzio, da tramandare ai posteri, è racchiusa nel libro “La mia prigione” (Storia vera di un poliziotto a Palermo), editore Marsilio, Venezia 2012, pp. 270, € 16.50, Collana “I nodi”, scritto a quattro mani con la giornalista toscana Letizia Leviti. Inizia la vigilia di Natale del 1992, quando alle 7 e 10, alla porta del dirigente del Sisde (lo è dal 1982), con una lunga carriera in Polizia (vi è entrato nel 1958, nel 1959 ha sposato la professoressa di Lettere Adriana, donna forte nella sua dolcezza, a sua volta un’eroina da favola moderna per come ha vissuto l’interminabile incubo, ha due figli, uno in Polizia, Antonio, l’altro in toga, Guido), bussano quelli che scambia per i suoi “ragazzi”: in mano hanno un foglio dove lo accusano di “concorso esterno in associazione mafiosa”.

   “Dottor Contrada, ci segua…”. Si spalanca così un girone infernale, il sottosuolo dostoevskjiano. Per lui riaprono il portone del vecchio carcere militare di Palermo: è il solo recluso, evidentemente “eccellente”, e dopo tutti i gradi di giudizio – con passaggi paradossali e grotteschi - in cui la parola talvolta farneticante di un rosario allucinante di pentiti (17, fra cui Gaspare Mutolo, “’U Saittuni”, 30 omicidi nel curriculum-vitae, l’immancabile  Buscetta, Spatola, Brusca che sciolse un bambino in un fusto di acido, ecc.) che lo infangano facendosi l’eco l’uno all’altro in un gioco di specchi da film horror, è più attendibile della Bibbia, mentre la sua di dirigente generale della Ps è carta straccia, come quella di ben 150 testimoni che mettono la mano sul fuoco sulla sua onestà intellettuale, e dopo una sentenza di assoluzione in appello, è condannato in via definitiva a 10 anni. Dall’ottobre 2008 Contrada – che ha conosciuto mafia e mafiosi, politica e politici, magistratura e magistrati, ma anche, parole sue, “sciacalli, corvi, iene” e di Borsellino e Falcone dice “uomini soli, morti in solitudine” e che si sente “tradito, usato, abusato dallo Stato”, anzi, da “uomini dello Stato” - vive a Palermo, agli arresti domiciliari per motivi di salute.

   Le sue condizioni psico-fisiche – il linciaggio dei media, nella civiltà dello spettacolo sempre e comunque, ha avuto la sua squallida parte lasciando segni profondi, cicatrici che non si rimarginano - sono quelle che si può fellinianamente immaginare. Il laticlavio sarebbe perciò un modo di chiudere una stagione politica e aprirne una nuova, ma anche di accompagnare fuori da un tunnel viscido e insonne, il delirio postmoderno di una vicenda che ha troppi apostrofi fra “un” e il sostantivo maschile che segue, un italiano di 82 anni (Contrada è nato a Napoli nel 1931, si è laureato in Giurisprudenza all’Università Federico II). Di ridargli l’onore e l’immagine pubblica e rendere giustizia prima a un uomo con la “u” maiuscola e poi a un “servitore” (anche questa “s” maiuscola) dello Stato. Affinché noi comunità che, sgomenta, leggiamo di trattative stato-mafia ai livelli istituzionali più alti, e che abbiamo visto “da fuori” questa tragedia greca degna dell’Argentina dei generali o delle guerre tribali che dilaniano l’Africa, possiamo continuare a dirci orgogliosi di essere italiani, nonostante la patria abbia ceduto la sua sovranità in abbondanti porzioni di territorio, dove è percepita come “estranea”, talvolta ostile, e continuare a scrivere “Stato” con la maiuscola…

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