Anche il dialetto barese fra i miti


Vittorio Polito. È recente la pubblicazione a cura di Francesco De Martino, professore ordinario di Letteratura Greca nell’Università di Foggia, del ponderoso volume “Puglia Mitica” (Levante Editori), nel quale l’argomento mitologia è ampiamente trattato da numerosi punti di vista: greca, romana, nordica, classica, greco-romana, ecc.

Un lavoro, quello del curatore, molto arduo per le difficoltà di reperire e recuperare letteratura e arte mitologica, ma anche e soprattutto per la «tanta abundantia» di una produzione rivelatasi inaspettatamente corposa, marginale e sommersa, dispersa in tante biblioteche, un patrimonio ibrido fatto di beni disparati con grandi e piccoli gioielli. De Martino pertanto si è avvalso di una lunga serie di collaboratori di varia estrazione culturale: docenti universitari e di scuola, letterati, politici, artisti, commediografi, scultori, registi, scrittori, giornalisti, con lo scopo di documentare il più ampiamente possibile quelle che sono state le nostre origini, anche attraverso la narrazione fantastica, ma riferite essenzialmente a fatti mitologici della nostra bella Puglia.

A parte la vastità del materiale presente nell’interessante pubblicazione (ben 1310 pagine), il curatore ha inserito tra i miti della nostra Puglia anche argomenti prettamente di casa nostra: la Basilica di San Nicola, con i suoi misteri e la sua vocazione ecumenica, ed il dialetto barese attraverso l’inserimento della farsa quasi mitologica di Giovanni Panza “La Capasèdde”, nella edizione critica basata sulla copia d’autore curata da chi scrive in collaborazione con Rosa Lettini Triggiani e Giuseppe Gioia, messa a disposizione da Emanuele Panza.

La farsa, una sorta di ‘contaminatio’ tra la versione mitologica e quella biblica dell’origine del mondo, come confermano i nomi doppi di alcuni protagonisti: Pandora-Eva, Ivo-Adamo, Coline-Caino e Cilluzze-Abele che, oltre che biblizzati, sono anche ovviamente baresizzati.

Dello stesso Panza si parla del poema epico “La uerre di Troia - L’Iliade e l’Odissea chendate a la pobblazione” (Unione Tipografica). Omero, il più grande poeta di tutti i tempi, scrive Panza, convinto che il dialetto è il veicolo più adatto per avvicinare il maggior numero di persone al mondo dell’autentica poesia.
E non poteva mancare Domenico Triggiani, noto commediografo barese in dialetto e in lingua, che è presente con il volume “Da Adàme ad Andriòtte” (Schena), l’unico romanzo storico-satirico scritto in dialetto barese a quattro mani con Rosa Lettini. Un romanzo che mostra il grandangolo della visuale di Triggiani, che spazia dalla creazione del mondo (la criazziòne du mùnne), alla nascita di Roma, alla morte di Gesù (da la nàscete de Ròme a la mòrte de Gesù), all’Italia e alla Bari da ieri a oggi (Bàre d’aijre a jòsce). «Pe’ tutte cùsse casìne de lèngue, u dialètte barèse jè nu minestròne fatte che la lèngua frangèse, spagnòle, grèche e nabbeldàne. Pezzìnghe Dante Alighière ne parlò ijnde all’òbbra so’ e se pòte disce ca la lèngue tagliàne jè nate pròbbie do dialètte barèse. Avàst’a vvedè u prime dizzionàrrie della lèngua tagliàne. Ma nzèguite le barìse, a pìcche a pìcche, se facèrene frecà pure cùsse prevelègge da le frastijre. Non besògne comùngue scherdàrse ca chidde c’acchemenzàrene a scrive in latìne fùrene tre puglijse; Andronìco, Énnie e Pacùvvie».
Anche  Giuseppe Gioia (Pino), poeta dialettale fecondo e gioioso, è presente con alcuni suoi frammenti di epica, accettando di buon grado di cimentarsi in questo genere di travestimento di temi mitologici. La gioia del cantare prevale su tutto e si sposa con l’intenzione di facilitare il racconto alla ristretta schiera di amici capaci di intendere il dialetto e le sue ruffianerie. Gioia presenta nel capitolo “Cantari mitologici”: “Giudizio di Paride”, “Hera e Afrodite e “Cassandra”, scritti in dialetto con traduzione a fronte. Da “Hera e Afrodite” di Gioia, riporto la simpatica conclusione che così recita:
……….
E cudde reggipètte reffiàne
Afrodìte u mettì jind’a le mane
di Hèra che la raccomandazióne
de mettassille senza privazióne
acquanne, pe chembenazióne,
u penzìre auande la tendazióne
e u córe, senza seggeziòne,
va acchiànne la mègghia sfazióne.


(E quel reggipetto ruffiano Afrodite lo mise nelle mani di Hèra con la raccomandazione di indossarlo senza privarsene quando, per combinazione, il pensiero cattura la tentazione ed il cuore, senza soggezione, desidera la migliore soddisfazione).

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