“Re borbone e tre barboni”, Maurogiovanni rivive in una sua opera postuma


Vittorio Polito. Ricorre oggi il 4° anniversario della scomparsa di Vito Maurogiovanni, un grande barese, un grande commediografo e drammaturgo, ed un grande giornalista e scrittore. Alcune delle sue pubblicazioni dimostrano abbondantemente il suo sviscerato amore per la nostra Bari: “Cantata per una città” (Fatti, cose e personaggi del Novecento); “Come eravamo”; “U Cafè antiche” e “Il Teatro”, tutti della Levante Editori. Questi ultimi due sono scritti quasi interamente in dialetto barese, quel dialetto tanto amato da Vito per il quale auspicava di poter ancora parlare della dignità e della nobiltà della nostra prima lingua. È il caso di ricordare che “Jarche vasce”, unico dramma dialettale barese e prima opera teatrale di Maurogiovanni, che rappresenta la ricostruzione dei cicli della vita e dell'anno, ha avuto un grandissimo successo, superando abbondantemente le 3000 repliche in 25 anni.

In questi giorni è stato pubblicato un ennesimo volume (postumo), di Maurogiovanni «Re borbone e tre barboni», una “ballata borbonica”, come l'ha definita l'autore, il cui dattiloscritto è emerso tra le sue carte, e pubblicato dalla Stilo Editrice (pagine 148 - € 12).

La “ballata” è stata messa in scena al Teatro Piccinni da Vito Signorile, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, e riproposta al nuovo Teatro Abeliano.

Si tratta del racconto del viaggio di Re Ferdinando II da Napoli a Bari, ma anche la parabola di un Regno (quello delle Due Sicilie) in declino e malato come il suo re e prossimo a scomparire (siamo nel 1859). Come per tutte le opere di Maurogiovanni la rievocazione storica non è priva di riferimenti al presente. Forse all'operazione “Mani pulite”. Nel testo è presente l'ironia e lo sperimentalismo linguistico di Maurogiovanni, calati in un'atmosfera tra il reale e l'onirico.

Vito Maurogiovanni
Va evidenziato che Maurogiovanni con la sua perizia ha inserito anche dialoghi in dialetto barese, un patrimonio linguistico che dimostra ancora una volta la dignità e la potenzialità artistica del dialetto di casa nostra. Uno spettacolo tutto pugliese che si svolge a Bari in occasione dell'arrivo da Caserta del Re Ferdinando II per il matrimonio del figlio Francesco. Ferdinando è malato, prossimo alla fine come il suo regno, ormai in mano a briganti e liberali unitari, ma nonostante le vicende drammatiche Maurogiovanni li stempera nella commedia e nella farsa.

Alla versione teatrale dell'opera hanno partecipato: per la regia Vito Signorile, scene e costumi di Tommaso Lagattolla, luci di Peppino Ruggiero, musiche di Gianni Giannotti, direttore di scena  Michele Iannone, assistente alla regia Leonor Dhani. Interpreti: Paolo Panaro, Tina Tempesta, Alfredo Vasco, Franco Blasi, Antonella Genga, Enzo Sarcina e la partecipazione di Mario Mancini, Pino di Modugno, Gianni Giannotti e Sergio Lella.

I personaggi?: 'A Zellosa (tignosa); 'O Cecato (cieco); 'O Stuorto (storpio); Ferdinando II di Borbone (re delle due Sicilie); Maria Teresa d'Asburgo-Lorena (regina, moglie di Ferdinando dal 1837); Mustacchione (napoletano, attendente alla carrozza reale).

È auspicabile che le istituzioni non manchino di ricordare e onorare il suo illustre concittadino, considerando che Vito è stato il raccoglitore delle memorie della nostra città e Bari per cui non si può e non si deve dimenticare.

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