Il mondo nuovo di Davide Lopez: ieri come oggi?

di Vittorio Polito - Il notevole poeta barese Davide Lopez (1867-1953), avvocato, amministratore e dialettologo, considerato, in ordine di merito, il secondo poeta dialettale dopo Francesco Saverio Abbrescia (1813-1852, ha il merito di aver dato alla poesia barese carattere più universale, rendendola più comprensibile e aristocratica. Autore di vari volumi: “Canti baresi” (1915), “Nuovi canti baresi” (1930), “Biblioteca Consorziale Sagarriga Visconti. Un decennio di amministrazione 1928-1938” (1938), “La Puglia agli albori della civiltà” (1952), “La voce e le forme dell’idioma barese” (fonologia e morfologia (1952), ecc., Lopez fu consigliere comunale e Amministratore della Biblioteca Sagarriga Visconti (oggi Biblioteca Nazionale di Bari).

«Lopez - scrive Pasquale Sorrenti nel suo libro “I Baresi” (Tipolitografia Mare, Bari 1980) - … è comunque un ‘barese’ di primo piano, un uomo che sta alla città come la campagna al contadino…».

Nel suo volume “Canti baresi” (Arnaldo Forni editore, ristampa dell’edizione Laterza del 1915), si legge, tra le altre, la poesia dedicata al mondo nuovo “U munne neve”, in cui è evidente la delusione storica e la bassezza morale dell’Italia dell’epoca, che per certi versi è sovrapponibile a quella di oggi. Infatti si parla dell’accoglienza a braccia aperte dei briganti, delle tasse, della sistemazione ai posti di comando di uomini da poco, chiama santi i ladri della Patria.

Insomma una foto dell’Italia di ieri che si adatterebbe molto bene a quella di oggi. Riporto la prima parte del testo della poesia ripresa dal volume originale di Lopez e la traduzione della stessa pubblicata sul volume “Parnaso di Puglia nel ’900” di Michele Dell’Aquila (Mario Adda Editore, 1983), nella quale ben si evidenzia la possibile sovrapposizione dei due periodi storici.


U MUNNE NEVE[1]

di Davide Lopez

A jere si rideve e si chjangeve,
Ma josce non zi mange e non zi beve;

A jere chemannave ’nu bribbande,
Ma josce stame ’mmane a le brigande…

A jere ci parlave ere arrestate,
Ma josce ci non bache jè spegghjate;

A jere che tre Jeffe ere la ’mbrese,
Ma josce che tre Pe l’honne distese.

La facce de la terre s’ha veldate,
U munne neve u vecchje ave scacciate;

Ave scacciate tutte, finghe u bene,
E ngi ave date ’ngambie tasse e pene!

U munne neve è care e jè criuse,
Fasce salì ’ngartedde le mueruuse;

Accogghje a vrazze apierte le brigande,
Le laddre de la Paddrie chjame sande;

Ci tene sale ’ngape ’mbiette core,
Afflitte cambe e disperate more!

Dassuse cingheciende bergeniedde
N’honne spilate come a le gardiedde.

Evvive a cusse munne! sembe ’nnande!
Avim’a corre a passe de giagande!

Viv’a la libertà, viv’a l’Itagghje!
Mmò sime pissce e prime erme fraghagghje!

[…]


«Ieri si rideva e si piangeva, ma oggi non si mangia e non si beve; ieri comandava un birbante, ma oggi siamo in mano ai briganti… Ieri chi parlava era arrestato, ma oggi chi non paga è spogliato. Ieri con tre F (festa, farina forca) era l’impresa, ma oggi con tre P (patria, popolo, progresso) l’hanno distesa. La faccia della terra s’è girata, il mondo nuovo ha scacciato il vecchio; ha scacciato tutto perfino il bene, e ci ha dato in cambio tasse e pene! Il mondo nuovo è caro ed è curioso, fa salire in auge gli uomini dappoco. Accoglie a braccia aperte i briganti, i ladri della Patria chiama santi; chi ha sale in testa e cuore in petto, afflitto vive e disperato muore! Lassù (a Roma) cinquecento pulcinella ci hanno spennati come galletti. Viva questo mondo! Sempre avanti. Dobbiamo correre a passo di giganti! Viva la libertà! Viva l’Italia! Ora siamo pesci e prima eravamo pesciolini!». (da ‘U munne neve’).


[1] Da notare l’ampio uso della lettera J che qualcuno vorrebbe eliminare dall’alfabeto del dialetto barese (?).

1 Commenti

  1. Mi esprimerò in riferimento alla nota (a fine articolo) del Sig. Polito: "Da notare l’ampio uso della lettera J che qualcuno vorrebbe eliminare dall’alfabeto del dialetto barese (?)".
    Beh, considero assolutamente fuori luogo, questa annotazione.
    Lei, Sig. Polito, mi sembra di capire che cerca di tirare acqua al suo mulino; il problema però è che lo fa in maniera errata. Direi che Lei è bravo a darsi la zappa sui piedi.
    Lei crede che l'illustre Davide Lopez abbia usato la "j" in maniera corretta?... Le posso assicurare che nella poesia inserita in questo articolo (dalla metrica impeccabile; un perfetto endecasillabo), viene fatto un uso incompleto della "j".
    Per poter usare la "j" in maniera corretta, bisognerebbe conoscere a pieno la materia fonologica. Il Lopez, purtroppo per lui e per Lei, è stato imperfetto nel farne uso.
    Perché eliminare l'uso della "j"?... Facile! Per facilitare la vita a chi scrive il dialetto; per evitare che si commettano errori che denotano impreparazione in linguistica.
    Onore in ogni caso al grande Davide Lopez!

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