Infibulazione, un orrore sconosciuto

di Pierpaolo De Natale - “Due donne mi hanno presa e mi hanno trascinata in una stanza. Quella dietro di me mi teneva giù premendomi con le ginocchia sulle spalle con tutta la sua forza. Così non riuscivo a muovermi. Piangevo e urlavo”.

Queste le parole tratte dalla preziosa testimonianza di una donna senegalese. Il suo nome è Khady Koita, è una delle milioni di ragazze vittime di un fenomeno enormemente diffuso nei territori del continente africano e della penisola araba. Quella di Khady è una storia come tante altre; la storia di una donna che, in tenerà età, è stata forzatamente sottoposta ad una pratica spesso sottovalutata e poco conosciuta qui in Occidente. Cresciuta e trasferitasi a Bruxelles, Khady Koita ha trovato il coraggio di raccontare la propria verità in un libro, "Blood Stains” - intitolato "Mutilata" nella versione italiana – e oggi è vicepresidente di EuroNet Fgm, organizzazione internazionale per la lotta contro le mutilazioni genitali femminili.

Chissà quanti avranno sentito parlare di infibulazione e quanti avranno distrattamente ascoltato o guardato servizi televisivi riguardanti questa sconcertante pratica. Ma chi conosce davvero la realtà che si cela dietro questa dura e concreta verità?

Iniziamo per gradi, con lo scopo di capire il fenomeno in maniera semplice, ma approfondita. La parola infibulazione deriva dal termine latino "fibula", la cui traduzione in italiano ̬ "spilla". La fibula Рinfatti Рera uno strumento largamente utilizzato nell'Antica Roma e nell'Antico Egitto. Veniva usata in primis per agganciare le toghe e, in secondo luogo, per controllare e disciplinare schiavi e gladiatori; fissata attraverso il prepuzio negli uomini, garantiva che questi non si distraessero dedicando il proprio tempo alle donne, mentre, applicata tramite le grandi labbra, preveniva nelle schiave gravidanze scomode o indesiderate.

Il termine è stato correttamente ripescato dal linguaggio moderno per la coniazione della parola infibulazione, che racchiude in sè un universo di crudeltà e scabrosità. Per comprendere cosa sia l'infibulazione, occorre contestualizzarla all'interno della sua categoria di appartenenza. Questa pratica, infatti, appartiene alle cosiddette "Mutilazioni genitali femminili" (MGF).

L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) individua quattro tipi di mutilazioni genitali femminili, che cercheremo di illustrare nei loro tratti essenziali. La circoncisione, o infibulazione al-sunna, consiste nell'asportazione della punta della clitoride con la fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche. L'escissione comprende la totale asportazione della clitoride e un taglio – totale o parziale – delle piccole labbra. L'infibulazione, conosciuta anche col nome di infibulazione faraonica o sudanese, prevede invece l'asportazione della clitoride e delle piccole labbra e la cauterizzazione (bruciatura) totale o parziale delle grandi labbra; dopo ciò, infine, si procede con la cucitura della vulva, lasciando aperto un piccolo foro appena sufficiente per il passaggio di urina e sangue mestruale. Il quarto tipo di MGF include diversi interventi di varia natura sui genitali femminili.

Ritornando all'infibulazione, vi sono numerosi dati pubblicati dall'Oms riguardo svariati aspetti del fenomeno. Innanzitutto, quali sono le vittime? Sottoposte a questo trattamento sono le bambine abitanti di molti Paesi africani e arabi. La loro età varia a seconda del loro Stato di appartenenza; vengono infibulate le bambine di età compresa tra i quattro e i quindici anni in Egitto, quelle minori di cinque anni in Etiopia e Mali e – pensate – nello Yemen questa pratica viene compiuta entro le prime due settimane di vita.

Le assenti condizioni igieniche e l'obsoleta strumentazione adoperata per gli interventi in questione sono causa di numerose complicazioni medico-sanitarie. Setticemie, tetano, difficoltà ad urinare e a partorire, lacerazioni perineali, trasmissione dell'aids e possibili danni arrecati ai futuri feti di queste donne sono solo alcune delle conseguenze che possono avere luogo.

Alle spalle dell'infibulazione vi sono ragioni ben profonde. Ci aiuta a comprenderle la Prof. ssa Carmela Ventrella, docente di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Bari.


Professoressa Ventrella, perché molte società adottano questo tipo di mutilazione? Quali motivazioni storiche, sociali o culturali vi sono?Le mutilazioni genitali femminili (MGF), antiche pratiche tribali, volte alla rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, con diversi livelli di gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata infibulazione, sono diffuse prevalentemente nell’Africa subsahariana. Tali pratiche rituali tradizionali, che l’immigrazione ha fatto purtroppo conoscere anche in Europa e in Italia, sono legate all’identità etnica e rappresentano per la comunità un patrimonio culturale. Le ragioni delle MGF, oltre a rispondere ad esigenze spirituali e religiose, sono socio-culturali, tese al controllo della sessualità, alla purificazione della donna, alla prevenzione delle infedeltà e quindi dei divorzi.


Che ruolo hanno nel fenomeno in questione le bambine e le loro famiglie? Ci si può sottrarre all'infibulazione?
Secondo i dati diffusi dall’OSM, nel mondo le donne che hanno subito una qualche forma di MGF sono tra i 100 e i 140 milioni e, ogni anno, più di 3 milioni sono le bambine a rischio. Le MGF sono praticate su bambine per espressa volontà della madre e della comunità. Gli uomini, che hanno il vero potere decisionale, rimangono nell’ombra. L’età delle bambine sottoposte a MGF può variare, a seconda dei Paesi, dalle prime 2 settimane di vita fino ai 15 anni. Studi recenti hanno evidenziato un graduale abbassamento dell’età delle bambine sottoposte a MGF soprattutto per la maggiore facilità di vincere eventuali resistenze da parte di bambine consapevoli. Vengono effettuate generalmente da donne anziane e autorevoli, in condizioni igieniche precarie e con strumenti rudimentali. Le donne che non si sottopongono a tali pratiche sono emarginate, stigmatizzate e addirittura messe al bando dalla società.

Qual è la posizione delle organizzazioni internazionali a riguardo?Il 20 dicembre 2012 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la Risoluzione di messa al bando universale delle MGF, che esorta gli Stati a stabilire delle leggi che garantiscano l’uguaglianza dei sessi sanzionando penalmente le MGF e prevedendo assistenza sanitaria e psicologica alle donne vittime. Si invitano gli Stati a celebrare il 6 febbraio la Giornata internazionale della tolleranza zero contro le MGF.

Cosa prevede – invece – la normativa italiana in merito? Quali sono le pene previste per i responsabili di mutilazioni genitali femminili nel territorio nazionale?In Italia, secondo i dati Istat, su 110.000 donne africane immigrate si può stimare che circa 35.000 abbiano subito le mutilazioni, o prima di venire in Italia o durante il soggiorno nel nostro Paese in occasione delle vacanze nei Paesi di origine. Non è dunque un fenomeno che non ci appartiene. L’Italia, infatti, per la tipologia di flussi migratori, risulta il Paese con il più alto numero di donne infibulate.

Nel 2004 in Italia ci fu la proposta, da parte di un ginecologo somalo, di medicalizzazione, vale a dire di sottoporre le bambine immigrate a escissione nelle strutture sanitarie nazionali.


Nel 2006 finalmente vede la luce la Legge n. 7 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di MGF”. In attuazione del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., la Legge, strutturata in due capitoli, fa precedere le misure preventive alle misure punitive delle pratiche di MGF quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine. Il testo normativo prevede strategie di contrasto programmate tra i vari Ministeri attraverso campagne informative, iniziative di sensibilizzazione, organizzazione di corsi per le donne infibulate in stato di gravidanza, finalizzati ad una corretta preparazione al parto, aggiornamento per gli insegnanti delle scuole dell’obbligo per aiutarli a prevenire le MGF, con il coinvolgimento dei genitori delle bambine immigrate e per diffondere in classe la conoscenza dei diritti delle donne e delle bambine, etc.

Le misure punitive, venendo a modificare gli artt. 583 e 604 c.p., introducono il reato di pratiche di MGF. L’art. 583 bis c.p. prevede la reclusione da 4 a 12 anni per chiunque cagioni, in assenza di esigenze terapeutiche, una mutilazione degli organi genitali femminili, con un aumento di un terzo della pena se le pratiche sono commesse a danno di un minore o se il fatto è commesso per fini di lucro. In maniera significativa, è contemplata la possibilità di punire l’autore anche quando il fatto sia commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia. L’Art. 583 ter dispone per il personale medico la pena accessoria dell’interdizione dalla professione da 3 a 10 anni.

Si vuole segnalare un passo decisivo nella lotta contro le MGF compiuto nel nostro Paese che ha accordato la protezione internazionale ad una donna che era fuggita in Italia perché correva il rischio, in concreto, di essere sottoposta nel suo Paese d’origine (Nigeria) ad un trattamento degradante quale è la pratica della infibulazione. La Corte di Appello di Catania, nel novembre del 2012, riformando la sentenza di I grado, ha riconosciuto lo status di rifugiato politico alla donna per i motivi sopra evidenziati.

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