Cinema: Ulalà, un inno alla gioia e alla libertà

di Francesco Greco - Il Sud magico e delirante, microcosmo dove il tempo ha una modulazione sensuale e pigra, abitato da artisti e filosofi, poeti e sognatori, utopisti inguaribili che si sono aperti un varco attraverso il tempo. Un universo dove il passato non passa, le ferite sono sempre aperte, i lutti non si elaborano mai e il vissuto riemerge con i suoi ispidi iceberg a farci soffrire. Un universo insonne, dove in apparenza nulla accade ma che pulsa di passioni sottintese, dove si cerca sempre qualcosa per dare un senso alla vita e un equilibrio alla quotidianità, ma ci si scontra con lo status quo: la burocrazia, la corruzione politica, la stupidità delle mode spersonalizzanti, la violenza brutale dei media. "Ulalà" (Le magie di Cosimino) riflette su tutto questo con una leggerezza e un'intensità lirica che lascia senza parole tanto è sussurrata con dolcezza, senza supponenza alcuna. Alcuni topoi sono costanti in tutta la ricca filmografia di Alfredo De Giuseppe, cineasta pugliese (ma noto nel mondo per aver partecipato ai festival) con una personale visione del mondo, l'uomo, le cose, la storia. Tanto da trasfigurarlo nell'intellettuale capace di catturare l'anima inquieta di una terra e lo spleen di un popolo sulle rive del Mediterraneo, perciò dal dna complesso, barocco, stratificato. Anche in questo nuovo lavoro le sue "visioni" corrono in parallelo, sospese fra cinema cinema, pregno di input estetici e didascalici alla Pasolini e la scansione documentaristica che rimanda al miglior Nanni Loy nella sua tensione politica, ansiosa di catturare la dimensione sociologica e antropologica di una città, Tricase, e della sua gente, che altro non sono se non l'affollamento semantico dell'uomo mediterraneo, un pò greco e arabo, sicuramente bizantino, un pò svevo. Lo sguardo tenero e struggente, denso di pathos, "Ulalà" (di 46 minuti, prodotto da associazione Salento Cinema e Perlesalento, scritto e montato dallo stesso regista) dove racconta il Sud senza manierismi consolatori nè folklore, ma con una crudezza che si sublima in poesia e che è il nucleo puro del cinema d'autore. La parabola esistenziale di Cosimo Ciardo, nato in una famiglia povera e numerosa, rinchiuso nel riformatorio di Leuca, poi una vita da emigrante (con un aneurisma da cui si salva ma che lo segna), poi una famiglia, due figlie "laureate", di cui è orgoglioso e i suoi giochini di un etrernoi Peter Pan che lungi dall'inacidirsi per la sorte che gli è toccata, al contrario, è grato agli dèi perchè trova un suo pubblico benchè esiguo, che lo ascolta, gli dà importanza, assiste ai suoi spettacoli, gli sorride. Parla direttamente con Dio (e ciò già sarebbe blasfemo se Cosimino non fosse un poeta, un eterno fanciullo), inventa neologismi ("Dio beduino!"), tifa Juve, la politica lo lascia indifferente, lontana com'è dal cuore e la mente del popolo. Cosimino cerca Fausto di Ugento, compagno di riformatorio che, pensa, ha fatto fortuna e se ne va in giro su uno yacht da nabbbo. Ovviamente non lo troverà, ma continuerà la sua ricerca A Sud il tempo ha una modulazione dolce e lieve, come nel deserto, per cui inseguire le proprie utopie è un modo di tenersi vivi. Intanto intrattiene quelli che incontra (anche l'attrice Stefania Casini) con giochini con le carte, una cordicella, suonando il suo blues con l'armonica, recitando filastrocche ereditate dal passato. Il ricordo dei giorni nel riformatorio lo tortura, ma la madre (il mare) con cui intrattiene un rapporto quasi filiale, riesce ad addolcirlo. E' un universo innocente, lieve, dove la memoria fluisce pigra, senza lasciare ferite: il fatalismo è una password dei poveri come Cosimino, un espediente per soffrire di meno. Ma anche la sapienza antica ereditata dai filosofi greci aiuta: "Se c'è stato un passato, c'è un presente e ci sarà anche un futuro". Le sottolineature antropologiche e idintitarie innervano l'opera di struggente poesia. "Ulalà" è un inno alla gioia, alla vita, alla libertà, alla felicità degli uomini dal cuore puro, vivi, con una loro idea ingenua del mondo che consente di lenire il dolore, di godere delle piccole cose in questa avventura che si chiama vita e che è comunque a termine. Il rischio di chi fa cinema in provincia è di essere un provinciale, per cui fermarsi alla dinamica di quel che racconta: il confine fra folklore e poesia è esilissimo. Da intellettuale con una sua weltanschauung, il cineasta invece possiede uno sguardo universale, irrora le sue allegorie di sofferta vitalità e di scandagli di luce improvvisa capaci di contenere dei messaggi intimi di grande forza dialettica. De Giuseppe inoltre conferma la sua maturità stilistica, una padronanza tecnica del mezzo, tanto da lavorare con la luce naturale. Bella la fotografia, il ritmo è da film on the road, il montaggio essenziale. Stralunato, felliniano, Cosimo Ciardo recita se stesso con un'intensità da cinema neorealista ormai quasi perduta tra il voyerismo e il feticismo del cinema italiano "carino" ma vuoto. Altri credit: camera car e aiuto montaggio Giancarlo De Giuseppe, progetto grafico Cosimo Cortese e la partecipazione (a volte inconsapevole) di Stefania Casini, Salvatore Baglivo, Carlo Martella, Antonio Errico, Totò Ruberto, Agnese Dell'Abate, Paola Friusllo, Massimo Palumbo, Soni Pradeep, Gigi De Francesco, Luigi Russo, Giuseppe Minerva, Ernesto Esposito, la cagnolina Rosetta, Simone Minerva, Rocco Alfarano, Costantino De Giuseppe, Tommaso Russo, Gigio Campanile, Giovanni Martella, Ezio Sanapo, Gino Adore, Carmelo Crisostomo, Davide Micocci, Roberto Morciano, Le ragazze degli Econauti, Renata Doci, Tommaso Guerrella, Marina Ziggiotti, Rocco Margiotta, Tommaso Turco, Patrizio Ziggiotti, Giuseppe Elia, Roberto Melcarne, Mali Ashok, Luigi Peluso, Luciano Grimaldi, Antonio Probo.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto