Café Society: la recensione

di FREDERIC PASCALI - La modernità fagocita il classico e ne assume le vesti nella maniera più accurata possibile. Accade tutto nel nuovo film di Woody Allen che per la prima volta nella sua carriera gira avvalendosi esclusivamente di telecamere digitali. Difficile accorgersene, sia per l’innovazione tecnologica sempre più vicina alla pellicola 35mm, sia per la fotografia magistralmente diretta dal tre volte premio Oscar Vittorio Storaro. Ne consegue un lavoro assolutamente da non perdere, sostenuto da dialoghi brillanti incastonati su di una sceneggiatura, sempre di Allen, cesellata con la sapienza del grande artigiano.

Bobby Dorfman, giovane rampollo di una modesta famiglia ebrea newyorchese degli anni ’30 del Novecento, decide di tentare fortuna nel cinema recandosi a Los Angeles. Suo zio, Phil Stern, è titolare di una delle agenzie più note e importanti del settore e il suo aiuto può risultare determinante. Dopo una lunga anticamera durata svariate settimane il giovane finalmente viene assunto. Svolge piccole mansioni che tuttavia gli consentono di fare conoscenza con parte del jet set frequentato dallo zio e, soprattutto, di avvicinarsi a Vonnie, la segretaria di Phil.

Se ne innamora perdutamente ma deve fare i conti con le sorprese che il mondo della “Café Society” gli riserva.

La nuova pellicola di Allen rovista nei meandri dorati degli anni ’30 hollywoodiani, con la leggerezza e la sagacia dell’ironia sottile che da sempre contraddistingue il modus operandi dell’autore newyorkese. Il suo repertorio classico ha carta bianca e di amore, sesso, ebrei, denaro e malavita si argomenta con lo stesso spirito di un gruppo di commensali a una cena di compleanno. Eccellenti le prove dei protagonisti e di tutto il cast in generale. Jesse Eisenberg, “Bobby Dorfman”, è perfettamente a suo agio in un ruolo che sembra tagliato apposta per lui e la chimica con Kristen Stewart, “Vonnie”, è quella giusta per catturare l’attenzione del grande pubblico. Gli elogi per tutta la produzione si sprecano e non possono non coinvolgere anche il lavoro sui costumi di Suzy Benzinger e il montaggio di Alisa Lepselter.

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