LIBRI. Thoreau e il mito della Natura selvaggia

di FRANCESCO GRECO - Elogio del “wildness” e della “wilderness”: la vita nel cuore vivo e oscuro della Natura come sua “parte integrante”, come una pietra modellata dal vento, un albero di dieci metri nelle foreste del Nord America, un fiore profumato, una luna grandissima. “Ciò che non riusciva a trovare nella civiltà, lo andava a cercare nella natura”, dove scorgeva un che di “gioioso e sereno” e respirava “un'atmosfera cavalleresca”.

“Camminare” (e altri passi scelti), di Henry David Thoreau, Piano B Edizioni, Prato 2016, pp. 136, euro 14 (collana La mala parte, pregna introduzione del filosofo Leonardo Caffo, traduzione e curatela appassionata di Stefano Paolucci, che dell'americano sa davvero tutto), si trasfigura in un manifesto “verde” ante litteram (“la conservazione del mondo dipende dalla salvaguardia della Natura Selvaggia”, “ciò che è più vivo è ciò che è più selvatico”), una sorta di bibbia laica per chi non si arrende alla deriva suicida del cibo spazzatura, della chimica che desertifica la terra e avvelena i frutti, dell'ambiente violentato e sottomesso.

Patologie già abbozzate agli albori della rivoluzione industriale, al tempo dell'agrimensore (topografo) Thoreau che nacque, visse appena 44 anni, da “animale profondamente stanziale” e morì nel villaggio di Concord (due passi da Boston, “Più si è vicini a casa più si va in profondità”, solo una volta “sconfinò” in Canada), ma esplose con l'agricoltura intensiva e la globalizzazione, la natura piegata al profitto. Al suo tempo, quando “quasi tutte le cosiddette migliorie apportate dall'uomo, (…) non fanno che deturpare il paesaggio e renderlo sempre più addomesticato e misero”, “verrà un giorno in cui questa terra verrà lottizzata e suddivisa in cosiddetti parchi di divertimento”. Se rivivesse nel XXI secolo dei veleni e dell'ecosistema sconvolto, avrebbe un choc fatale.

Nell'epoca in cui i bambini credono che il latte lo fanno al centro commerciale, la proposta di materiali inediti (accanto a “Walking”, 1851, “Una passeggiata d'inverno” e “Notte e chiar di luna”) dell'editore toscano ha il valore di una provocazione etica, civile, ma anche politica “Godere di una cosa in modo esclusivo significa precludersi l'autentico godimento di quella cosa” (e spazza via certo ambientalismo mummificato, ideologicamente contiguo a interessi oscuri) e questo libro dovrebbe essere adottato in tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Se nell'opera si riflette la propria parabola esistenziale, il naturalista ebbe vita dura: studi sconnessi (ma per chi scrive serve sensibilità più che di accademia), amori sbagliati, galera, insegnante, giardiniere, fabbricante di matite.

Tutto quello che avrebbe piegato chiunque, paradossalmente non lo segnò, non inaridì il suo spirito, anzi, lo rafforzò e lo arricchì. E dai diari delle sue “passeggiate educative” (“Usciva di giorno e di notte, con il freddo e con il caldo...”), oltre che dalle lettere e lezioni pubbliche del “camminatore forte”, che riteneva tale impegno “una professione”, “come fa il cammello”, oggi possiamo leggere la prosa limpida pregna del suo pensiero “verde” intriso di filosofia, ontologia, panteismo (trascendenza), da cui emana tutta la possente energia della Natura (“n” maiuscola come chi ha rispetto ma anche soggezione, “percorsa da un sottile magnetismo”), ma anche dei suoi abitanti, animali, foreste, laghi, fiumi, inclusi gli astri, una “visione” che diviene anche cosmogonica, oltre che morale in senso hegeliano (“Cos'è mai la Natura, se non l'attraversa una rigogliosa vita umana?”, “i nostri pensieri saranno tanto più ariosi e luminosi”).

Da Virgilio a Varrone, da Plinio il Vecchio a Bruce Chatwin, un libro da divorare, oggi che giriamo il mondo low cost, ma pochissimi viaggiano nel senso più intimo e dialettico del termine, della semantica di cui lo affollava Thoreau (“itinerario dell'anima”). Tornano carichi di gadget e di luoghi comuni ma poveri di emozioni, “come se si potesse ammazzare il tempo senza ferire l'eternità”. Tutto tempo perso.
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