OPINIONI. L’eterna fuga dalle responsabilità: il nostro dna

di FRANCESCO GRECO - Inquieti, smarriti abitanti di un paese surreal-demenziale, senza regole né autorità, ogni volta facciamo esercizio di ipocrisia, manifestando uno stupore ciclostilato, posticcio. E’ invece la sequenza di un film interminabile, già visto, ormai trasfigurato in “cultura”, dna, che sinceramente ha stufato.

Forse è dovuto al background, alla nostra storia: dopo Roma, tanti popoli ci hanno dominati e noi li abbiamo serviti (“Franza o Spagna purché se magna”, “serva Italia di dolore ostello”). E’ la sorte di chi non ha autostima. E così, per non assumerci una parvenza di responsabilità, abbiamo delegato le decisioni dei nostri destini ai peggiori, i più arroganti, ricchi, volgari, violenti, cialtroni, fregnacciari: ieri Papi e Re, oggi Mussolini, Berlusconi, Renzi e quant’altri si affacciano all’orizzonte, leggendoli spesso come “messia”, unti del Signore, dotandoli di un’aura quasi mistica, del tutto falsa.

Cartoline dall’Abruzzo, inverno 2017: la neve cade sulle macerie del terremoto, nel cuore della notte gelida, una slavina a 100 km orari si abbatte su un albergo di lusso, vista sul Gran Sasso, un sopravvissuto chiama col WhatsApp: è una tragedia, correte. In quelle montagne lacerate, dove sono andati a illuderli: “Non vi lasceremo soli…”, “Dite quello che vi serve…”, le parole sono nude, vuote di senso e di eco, e intanto muoiono uomini, animali, popoli, etnie, civiltà, speranze.

Eppure dall’altro capo del filo qualcuno non crede alla catastrofe, ai “dispersi” che spesso lo sono per sempre. Il redivivo insiste e cosi gli passano l’altro ufficio, dove magari “il dottore è fuori stanza”, o davanti al termosifone, che gli passa un volontario (il volontariato non peloso è la sola cosa viva, da salvare, in questo miserabile, indecente paese) a vedere se casomai è qualche mitomane che soffre d’insonnia, stanco della playstation o di navigare nell’artificio del web dove tutti sono giovani, belli, buoni, giusti.

A migliaia prendono lo stipendio, ma tocca al volontario spalare la neve. E’ già tanto che non gli abbiano risposto: “Albergo distrutto? Sarà una bufala! Pensa alla salute!”. Siamo un popolo che pensa sempre alla salute, la nostra, quella altrui chissenefrega? Uno spaventoso darwinismo. Poi si scoprirà che l’amministratore dell’albergo aveva chiesto a Provincia, Comune, Polizia provinciale e Prefettura di liberare la strada dalla neve, per far partire i turisti. Magari sono ancora lì a dire: devi farlo tu, no tocca a te…

Intanto il “Rigopiano” è diventato una bara bianca. E si sapeva quando, dove e quanta neve sarebbe arrivata. C’è anche l’atout elegante e sudicio dei politici che fanno passerella appropriando dei sopravvissuti, scambiandosi sms: da noi è sempre derby. Ecco reincarnata l’eterna, secolare fuga dalle responsabilità.

I partiti e le mafie hanno colmato le istituzioni di furbetti del cartellino, di gente che tira il 27, che se vede qualcosa che non va si gira dall’altra parte, mi faccio i fatti miei, tengo famiglia e poi chi me lo fa fare? Basta simulare la presenza per incassare lo stipendio, mentre i migliori, “i cervelli”, disgustati, che non accettano la volgare pantomima, non si prestano alla farsa, se ne vanno all’estero, e fanno bene.

Sappiamo come vanno le cose: timbrano (qualcuno in mutande) e se ne vanno in spiaggia, dall’estetista, al bar o si fanno timbrare il budge dal collega, ricambiando il favore il giorno dopo. Tanto con un buon avvocato la si fa franca alla faccia delle leggi: l’inganno si trova prima della legge. Forse quell’albergo non doveva star lì, sotto la montagna.

Quindi fuga dalle responsabilità retroattiva: anche di chi firmò la concessione edilizia a suo tempo. Che continua. Da noi, se chiami un ente pubblico ti fanno sentire tutta l’opera di Mozart e pure qualcosa di Chopin.

Puntano sulla desistenza: pensano che ti stanchi e lasci perdere. Fuga applicata all’epoca del 2.0: loro scrivono quel che vogliono, ma ti dicono “noreply”, cioè, quel che pensi tu non ci interessa, accetta per fede quel che diciamo noi.

Cittadini dimezzati, come il famoso visconte: non hai doveri e qualche diritto, sei sempre uno che rompe le palle, che disturba il presepe dello stipendio rubato e dei posti di lavoro comprati tramite le mafie, politiche e mafie vere e proprie. Così siamo diventati un paese e un popolo “minore”, e come tale percepito e sbeffeggiato ovunque. Che fa la vittima, che se la prende con la Merkel, con Trump, con Grillo. Fummo il paese di Caravaggio e Fellini, siamo il paese di una ministra menzognera e di Luca Lotti, zero voti.

La tragedia finisce sempre in farsa e a stracci volanti. I media tengono bordone: raccontano il declino e loro stessi lo incarnano. Non è mai colpa di nessuno: il colpevole o è la sfortuna, il destino cinico e baro, o risale a 3 secoli prima, o è morto, o è troppo potente e se lo indagano “crolla tutto” (come dicono i pentiti di mafia per lucrare i benefici di legge), o è un metafisico Grande Vecchio sull’iperuranio, oppure, alla fine uno lo si trova: il poveraccio che passa per strada in questo momento e che non avendo i mezzi per pagarsi un avvocato non può che essere il “mostro” su cui scagliare il livore del popolo e dei forcaioli.

Ma alla fin fine il Grande Vecchio siamo tutti noi. E tutto per non finirla col complesso di Peter Pan e assumerci, prima o poi, uno straccio di responsabilità dinanzi a noi stessi e alla Storia. Disfatta l’Italia, non c’era bisogno di disfare gli italiani: non siamo mai stati un popolo, ma “pecore anarchiche” (Montanelli).

E ora, disfatta l’Europa costruita sulla retorica, una mitologia fasulla e una moneta ladra della ricchezza dei poveri, non c’è bisogno di disfare gli europei: mai stati popolo. Così l’UE è affondata nel Mediterraneo, fra migranti, barconi, gommoni, passerelle politiche, mafie. Deo gratia!

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