OPINIONI. Trump vs Nixon: opzione impeachment?

di FRANCESCO GRECO - Domanda da 1 miliardo di $: riuscirà Donald J. Trump a portare a termine il primo mandato giungendo sano e salvo al 2020? Che il Dio di tutte le stelle, i pianeti, le galassie (quello di Giordano Bruno e Vanini) salvi il 45° presidente degli USA.

Rumors di impeachment agitano le acque di queste prime settimane di regno. Nel discorso di insediamento il 20 gennaio ha ribadito le coordinate del programma con cui ha vinto sulla candidata democratica Hillary Clinton.
 
Nessuna sorpresa, le linee-guida del Trump-pensiero erano già risapute: America first, compra USA, assumi USA, dazi sulle merci straniere, protezionismo, Obamacare da smontare perché pesa sulla classe media, il suo bacino elettorale di riferimento, guerra al terrorismo islamico, Nato da destrutturare, Europa sullo sfondo, dialogo con Putin in chiave anti-Europa, ecc.
 
Nel frattempo i sociologi hanno scoperto che nel mondo c'è desiderio di uomo forte, e ciò si materializza tramite il ritorno dei nazionalismi e i populismi, che prima di essere sprezzati andrebbero scansionati meglio nelle loro infinite articolazioni.
 
Trump che si mette a parlare di muri e di torture deve aver letto male questi report. Il decreto anti-immigrati (dagli ispanici agli arabi) forse nasce da qui, ma è folle non solo perché tutte le corti americane lo bocciano, ma soprattutto perché puzza di caccia alle streghe, se non di pulizia etnica. E' contro la Storia degli USA: forse ignora che il dna americano è multietnico? Lui stesso è di origine tedesca.
 
Di solito c'è un “prima” e un “dopo”. Il “prima” serve a conquistare il consenso, eccitare le folle, galvanizzarle. Il “dopo” a gestirlo senza farsene travolgere.
 
Trump invece si comporta come se la campagna elettorale continuasse, anzi, se avesse aperto quella per il 2020. Ha il passo del panzer, l'uomo solo al comando. Così andrà a sbattere. Non ha ancora stabilito una sintonia, una luna di miele con gli americani, e infatti nei sondaggi non decolla: è al 44% (persino Bush jr. un mese dopo l'elezione era al 53%).
 
Già la formazione del governo non tiene conto delle sensibilità, delle tante “anime” del suo stesso partito. Trump poi sta improvvisando una classe dirigente, infatti ha i dipartimenti vuoti, o quasi, a riprova che egli stesso non credeva nel successo di novembre.
 
Se davvero mette mano all'Obamacare trattandolo da priorità non inizia col piede giusto. Se poi si passa al muro al confine col Messico, che già c'è da anni e alle espulsioni-deportazioni, la comunità ispanica, nel Paese maggioranza, si agita e quella musulmana pure. Mentre rischia l'effetto-atomizzazione del paese: la California infatti vuole uscire dalla federazione, poi altri Stati verranno. Se si attaccano i media (“partito di opposizione”) leggendoli come untori, senza cercare un modus vivendi, una sintonia, si commette un altro errore. Se si tratta la Gran Bretagna da partner commerciale privilegiato si irritano gli altri mercati. Se si perseguono “chiusure” degli stranieri che andranno negli USA la marcia è sbagliata, perché poi i giudici tirano fuori la “green card” e il dollaro ne risente.
 
Guidare una Nazione non è come mandare avanti un'azienda: il decisionismo è cosa buona e giusta, ma l'istinto deve essere temperato dalla ragione. Se si cacciano i clandestini l'America crolla accartocciata su se stessa: perché vive del loro oscuro lavoro, sfruttandolo. E poi, che senso ha incrementare del 10% le spese militari, ricercare la premiership nucleare se già si hanno 5000 testate? Putin infatti è irritato e parla di “Guerra Fredda”.
 
Dal deserto del Nevada alla Silicon Valley, fino a Hollywood, il Paese è spaccato a metà: la campagna elettorale continua, stessi toni virulenti. Marce di protesta quotidiane, milioni di persone perennemente nelle piazze delle metropoli americane, Casa Bianca inclusa.
 
Trump ha il più basso indice di gradimento degli ultimi inquilini della Casa Bianca. Qualcuno dovrebbe dirgli che ora è presidente di tutti gli americani, non solo di quelli che lo hanno votato. Ma qualcun altro dovrebbe avvertire chi incendia con la protesta il Paese che così facendo scardina il principio su cui si regge la democrazia: il voto popolare, si attacca il suffragio universale.
 
E' vero che i voti del popolo avrebbero favorito l'avversaria, che ne ha presi circa 2 milioni in più, mentre Trump ha vinto con i delegati, ma valeva anche quando furono eletti due volte Clinton, altrettante Obama.
 
Concediamo a Trump la smania del neofita, del dilettante allo sbaraglio. L'inesperienza fa commettere errori, non ha un brain-group, si appoggia a persone inadatte, che poi lo abbandonano, una gaffe dietro l'altra.
 
Gli suggeriamo però una ripassata alla storia recente degli USA, diciamo gli anni Settanta, Watergate, dice niente? Due cronisti del “Washington Post”, Carl Bernstein e Bob Woodward, scoprirono le “cimici” fatte mettere dal Partito Repubblicano nel quartier generale del Partito Democratico, e da lì partì il procedimento di impeachment: durò due anni (1972-1974) e portò alle dimissioni di Richard Nixon, che non era un poveraccio.
 
La stampa ha avvisato Trump: non ci saranno sconti, né sul conflitto di interessi, né sul passato di tasse pagate all'italiana, né altre cosucce che dovessero emergere grazie a un giornalismo che ha una solida tradizione e non è accomodante come il nostro, ansioso di coccole. Anche se ha scelto il contatto diretto col popolo (e col suo stesso partito) attraverso i social, dove ha circa 40 milioni di followers, non può non tenerne conto a lungo senza pagare pegno.
 
Gli conviene cambiar passo, ascoltare le critiche, coinvolgere gli altri nelle scelte che farà, qualche compromesso: la politica è anche questo. Solo così potrà pensare a un secondo mandato. Continuando così rischia di non finire il primo.    

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