Pd, Emiliano resta nel partito: pronto a sfidare Renzi VIDEO

ROMA - Michele Emiliano resterà nel Partito Democratico. Il governatore pugliese ha partecipato infatti oggi alla direzione sulle regole al Nazareno con l'intenzione di sfidare Matteo Renzi al congresso. Una scelta molto criticata dai bersaniani che, invece, sono ormai fuori dal partito.

Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e i parlamentari della loro area non cambiano idea: non erano presenti alla direzione di oggi e al congresso del Pd, di cui non condividono le modalità.


LE PAROLE DI RENZI - "Se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità - è il messaggio del segretario dimissionario - questa scelta ci addolora, ma la nostra parola d'ordine rimane quella: venite, non andatevene. Tuttavia è bene essere chiari: non possiamo bloccare ancora la discussione del partito e soprattutto del Paese. È tempo di rimettersi in cammino".

"Mentre gli organismi statutari decidono le regole del Congresso, io sono in partenza per qualche giorno per gli Stati Uniti. Vi racconterò sul blog.matteorenzi.it il mio diario di bordo dalla California dove incontreremo alcune realtà molto interessanti. Priorità: imparare da chi è più bravo come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia, nel mondo del digitale, nel mondo dell'innovazione".

"Personalmente ho giurato a me stesso che non sarò mai il leader di qualche caminetto - ha ribadito - messo lì da un accordo tra correnti: si vince prendendo i voti, non mettendo i veti. Per settimane intere gli amici della minoranza mi hanno chiesto di anticipare il congresso, con petizioni online e raccolte firme, arrivando persino al punto di minacciare "le carte bollate". Quando finalmente abbiamo accolto questa proposta, ci è stata fatta una richiesta inaccettabile: si sarebbe evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi. Penso che la minoranza abbia il diritto di sconfiggermi, non di eliminarmi".

L'INTERVENTO DI EMILIANO - Mi candido alla segreteria del Pd perché questa è casa mia, è casa nostra e nessuno può cacciarmi o cacciarci via. Lo ha detto Michele Emiliano durante la direzione del Pd.

L’abbiamo costruita assieme a Romano Prodi e ai segretari e vicesegretari che si sono avvicendati, Piero Fassino, Francesco Rutelli, Walter Veltroni, Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, Enrico Letta, Guglielmo Epifani, e a milioni di altri italiani che hanno fortemente voluto la nascita e la sopravvivenza di questo Partito anche a costo di rinunciare ai propri ruoli.

Mai in nessun’altra forza politica italiana tanti hanno rinunciato a tutto pur di far nascere e sopravvivere la loro comunità.

Abbiamo così dato vita alla più grande forza politica della storia del centrosinistra italiano.

Mi candido dunque accogliendo il loro invito ed il loro esempio, ma soprattutto quello tantissimi militanti che mi hanno chiesto in queste ore di far sopravvivere il progetto politico cui abbiamo lavorato insieme a partire dal 14 ottobre del 2007.

Sorrido amaramente quando mi descrivono esitante nel prendere questa decisione: è evidente che chi è capace di tanta superficialità rispetto a questioni così gravi, non ha mai vissuto analogo travaglio.

Sono le stesse persone che nulla hanno avuto da dire ad un segretario e premier che dopo aver personalizzato un referendum costituzionale, promettendo addirittura il ritiro dalla vita politica in caso di sconfitta, oggi vanno avanti con lui senza porgli le domande che fanno a me.

E questo nulla toglie al rispetto profondo delle ragioni e dell’impegno dei tanti militanti che hanno partecipato al referendum e che sono stati coinvolti loro malgrado in una campagna referendaria che ha diviso inutilmente il Paese ed il PD.

Pensare prima di decidere è stata ed è la regola di tutta la mia vita senza paura di mostrare i miei limiti, le mie insufficienze, i miei dubbi.

Ho condotto questa complessa riflessione assieme ad Enrico Rossi e Roberto Speranza che hanno condiviso con me questi giorni difficili.

Enrico e Roberto sono persone perbene di grande spessore umano e politico che sono state offese e bastonate senza ragione da arroganti inviti alla scissione contenuti nei toni ironici e irrispettosi con i quali sono stati approcciati e nel cocciuto rifiuto di ogni mediazione.

L’ex segretario ha mostrato con evidenza di essere il più soddisfatto della possibile scissione.

Se il tuo contraddittore è contento che tu abbandoni la discussione, vuol dire che teme i tuoi argomenti.

Mi candido dunque nonostante il tentativo del segretario uscente, chiaro a tutti, di vincere il congresso ad ogni costo e con ogni mezzo, approfittando di avere gestito per tre anni tutto il potere politico, economico e mediatico di questo Paese.

Ha fretta perché non vuole rinunciare a questa posizione dominante e non concede ai suoi avversari il tempo necessario per girare nemmeno la metà delle province italiane perché i suoi errori e le sue contraddizioni, ove discussi dai militanti in uno spazio ragionevole, provocherebbero, un suo forte indebolimento.

Avremmo potuto confrontarci con la nostra gente sulle idee che ci hanno diviso.

Avremmo potuto chiedere se l’idea di un programma partecipato dal basso, costruito grazie all’organizzazione del PD, se l’idea di un partito vicino vero e umile che sta dalla parte di chi non conta niente, se la battaglia per una civiltà industriale innovativa e rispettosa della salute e dell’ambiente, per regole del lavoro che salvaguardino dignità e benessere delle persone, sono o non sono un patrimonio del nostro partito non sacrificabile per nessuna ragione.

Il nostro è infatti un popolo di “liberi e forti” diceva Don Luigi Sturzo, che sa scegliere e ascoltare, che concede sempre, anche a coloro che non condivide, attenzione e disponibilità a cambiare idea.

Nonostante il poco tempo concesso, ci proveremo lo stesso, perché per noi il congresso non sarà mai una prova muscolare ma l’esercizio dell’anima democratica della nostra comunità.

Enrico, Roberto ed io abbiamo impedito al segretario dimissionario, assieme a migliaia e migliaia di militanti, di precipitare il Paese verso elezioni anticipate chiedendo che un congresso vero e approfondito ci consentisse di riflettere sui 1000 giorni di governo.

Ma lui si è inventato a questo punto un congresso col rito abbreviato da celebrare entro aprile. Se facciamo i bravi entro metà maggio.

Si costringeranno addirittura i circoli e il PD a svolgere il congresso mentre 1500 comuni vanno alle elezioni amministrative respingendo la nostra ragionevole richiesta di primarie in autunno che dessero a tutti il tempo di fare bene la conferenza programmatica, che avremmo potuto sviluppare come un Gran Tour dal vivo di confronto durante tutta l’estate approfittando delle Feste dell’Unità.

Ma evidentemente queste ultime non devono essere concesse agli avversari come luoghi di dibattito, e soprattutto si deve tenere tutti sotto la spada di Damocle di andare ad elezioni anticipate a settembre.

Durante l’assemblea di domenica ho tentato, scuotendo negativamente l’animo di molti miei sostenitori, un’ultima disperata mediazione che impedisse una scissione con l’area della sinistra del partito rappresentata da Rossi e Speranza.

Il mio intervento seguiva quello di Guglielmo Epifani che aveva richiesto al segretario dimissionario una maggiore contendibilità del Congresso per utilizzare questo elemento come punto di partenza di una ricucitura.

Assieme a loro ho aspettato un gesto, semplice e facilmente realizzabile, che avrebbe con certezza evitato la paventata scissione che tutti viviamo come una sciagura.

Ma quel gesto non è arrivato. Anzi il segretario non ha replicato in assemblea lasciando di stucco tutti gli osservatori e l’Italia intera.

E poi oggi è arrivato sino al punto di irridere tutti noi non partecipando a questa direzione per rendere vani i sinceri tentativi fatti in queste ore da tutti i dirigenti e i militanti del Partito Democratico che avrebbero potuto evitare questa irreparabile sconfitta.

La rottamazione di tutto ha preso il posto della funzione della leadership che unisce, media, stempera, costruisce visioni e gruppi di lavoro che cambiano la vita delle persone e migliorano la qualità e l’efficienza delle istituzioni.

Il conflitto per il conflitto, l’eliminazione dell’avversario dal campo con i picadores di turno, gli hater del web e delle riunioni organizzate dove si distrugge ogni ipotesi di comunità al solo scopo di tutelare il comando di un uomo solo.

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia” diceva don Milani.

E di fronte a tanta avarizia la voglia di andar via da tutto questo è stata tanta, come quella delle migliaia di iscritti ed elettori che abbiamo perso in questi anni rampanti e sterili, nei quali la cultura della potenza ha preso la mano al senso del limite.

Noi siamo qui per trasformare il fremito di tanti ad andare via in desiderio di riprendersi diritto di cittadinanza in questo grande partito. Tutti insieme, con le nostre differenze e le nostre storie, con le nostre infinite e feconde discussioni, rappresentiamo una parte di Italia, strumento indispensabile per il governo di un paese civile.

In questa battaglia di difesa del PD non abbiamo ragionato su tatticismi ed alleanze precostituite, ma fidandoci dei singoli militanti, degli italiani e della loro coscienza. Consapevoli che “Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso”.

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