CHIESA. Frà Lucio da Montesardo in odor di santità

di FRANCESCO GRECO - Un genio precoce, un ragazzo d’oro. A 23 anni era già laureato in Teologia e in Filosofia (“cum laude”, alla Pontificia Università Gregoriana). Scrisse una lettera a casa: “Sono arrivato dove sognavo di arrivare…”. Venne a saperlo la baronessa Motolese-Sauli il cui palazzo era a due passi da casa Marchese: bussò alla porta e si complimentò con mamma Anna (una donna distinta, origini nobili, era nata a Tiggiano, vicino al Calvario) per un figlio tanto “intelligente”: “A volte i ragazzi poveri lo sono più dei ricchi…”.
 
Aveva due passioni: dipingeva (le opere sono nei collegi che frequentò, molti angeli) e la musica: suonava il pianoforte, il violino, l’arpa. Genio a tutto tondo, collaborava con articoli a una rivista. La sorella Rita, maestra sarta, lo portò a far visita nella villa di Leuca di un’altra baronessa, donna Emilia Romasi (che aveva sposato un Daniele e che avrebbero fondato l’ospedale di Gagliano Daniele-Romasi): gli regalò 5mila lire: “Comprerò spartiti musicali…”, disse contento il ragazzo. “D’istinto, amavi il bello… / vibravi/ di gioia incontenibile al’udire / Dei grandi geni l’arte; si capiva / L’ansia che t’animava d’emularli”.
 
Non poteva celebrare messa perché non aveva ancora 24 anni: era nato a Montesardo il 5 ottobre 1938. Carattere allegro e scherzoso (“Tutto luce ne gli occhi e ne la fronte…”), diceva: “Se muoio la prima messa la celebrerò in Paradiso…”. E così fu.
 
Figlio di umili contadini, famiglia numerosa, il padre Antonio mandava avanti un’osteria: persone oneste che si sudano il pane che mangiano, frà Lucio Marchese, dei Trinitari, “lieto, vivace, d”era avviato a una carriera folgorante. Fu uno dei 21 più dotti in Teologia e in Filosofia nel mondo, del suo tempo (“Il tuo sguardo sembrava chiara fonte…”).
 
Finite le elementari, con ottimi voti, tutti consigliarono i Marchese di mandarlo alle medie. Papà Antonio aveva altre otto bocche da sfamare. E mentre se ne discuteva, qualcuno propose: Mandatelo in collegio dai Padri Trinitari (l’Ordine fondato da San Giovanni de Matha) a Gagliano.
 
Col biroccio, lo accompagnò don Vincenzo Martella, il parroco del paese. Era il 4 gennaio 1950. Continuò e terminò gli studi ginnasiali al collegio di Palestrina (Roma). Il 5 novembre 1954 iniziò il noviziato a Cori (Latina), dove emise i volti semplici il 6 novembre del 1955. Il 25 settembre 1960 emetteva i voti solenni nella Chiesa di San Tommaso, sempre a Palestrina. “La tua vita era luce, era diletto…”.
 
Ma il destino era in agguato. Un giorno di fine estate (26 agosto 1962) verso mezzogiorno (“Chiarità d’un meriggio sfolgorante…”) il cielo si oscurò, un povero, Lorenzo, bussò alla loro porta per chiedere un po’ di cibo. Una vicina, Antonietta, la moglie del guardiano del giardino della baronessa Sauli, che abitava accanto alla chiesa, bussò anche lei per dire alla madre di Lucio che alla posta c’era un telegramma.

C’era stata una disgrazia: Frà Lucio era da 12 giorni con i confratelli al collegio di Esperia, nella verde Ciociaria solcata da fiumiciattoli. La giornata era calda e decisero di scendere al fiume Liri per un pic-nic e per refrigerarsi un po’. Esuberante, il ragazzo arrivò per primo e si buttò in acqua con la tonaca. Era sudato, accaldato, la passeggiata nei boschi era stata lunga una decina di km.
Lo videro annaspare, le mani fuori dall’acqua: pensarono che scherzava. Poi sparì nelle onde. Chiamarono aiuto, arrivò una barca, lo ripescarono, era ancora vivo ma i polmoni pieni di acqua. I fratelli e le sorelle si precipitarono dal paese, sul viso videro alcune escoriazioni e molta acqua vicino l’altare, ai piedi della bara (“Dinanzi ai tuoi compagni innorriditi”).

Avvolto in un sudario, il giorno dopo si mise in viaggio verso casa. Tutto il paese, emozionato, coinvolto, attese Frà Lucio davanti alla casa di via Castello. Un silenzio di ghiaccio lo accolse, la madre Anna non aveva più lacrime (“povero cuore di carne”).

“Ancora parli/ Ai tuoi compagni, / là, de le Formaci/ Cò i tuoi disegni e grafici, co l’opra/ D’artista nato; e vivi in mezzo a loro”.
 
Era in odor di sanità (“intelligenza, ardore,/ gaiezza pura, gentilezza innata, / Spirito d’altruismo…”). Ammirato dai superiori, da allora la sua breve vita è narrata dai confratelli Trinitari: Padre Enrico, Padre Mattia, Padre Biagio, ecc. :”lieto, vivace, d’allegrezza pieno…”. E’ sepolto al cimitero di Alessano, sulla via che porta al mare di Novaglie (Adriatico), insieme alla madre, morta a 85 anni.
 
Si aspetta un segnale della Chiesa per riconoscerne la grandezza, rievocare la sua figura, svelare al mondo la forza travolgente, dialettica di questa icona della Chiesa universale, quella dei poveri che sanno parlare al cuore di tutti gli uomini.  

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