MILANO (Reuters) - La procura di Milano ha chiesto oggi il rinvio a giudizio di Fabio, Nicola e Adriano Riva nell'ambito dell'inchiesta sul presunto trasferimento all'estero di denaro delle casse del gruppo siderurgico Ilva. Lo riferiscono fonti giudiziarie.
Il 14 febbraio scorso il giudice per le indagini preliminari aveva respinto le loro richieste di patteggiamento (che aveva invece avuto l'ok della Procura) spiegando che non potevano essere "accolte per assoluta incongruità delle pene concordate a fronte della estrema gravità dei fatti contestati". Tre giorni dopo la procura aveva chiuso le indagini
Il patteggiamento aveva avuto l'ok della procura di Milano, dopo che la famiglia Riva aveva trovato un accordo con lo Stato (annunciato dal premier Matteo Renzi a fine novembre) per rinunciare a contenziosi sul 'tesoretto' di 1,3 miliardi di euro, bloccato in Svizzera dai magistrati federali, dopo il sequestro richiesto nel 2013 dalla giustizia italiana. Soldi che, in base all'accordo, sarebbero appunto destinati alla bonifica ambientale dell'impianto di Taranto.
Dopo il no all'accordo, in una nota il gruppo Riva ha comunque confermato "la volontà di fattiva collaborazione con l'autorità giudiziaria di Milano e di Taranto e con il governo per la soluzione delle questioni riguardanti le problematiche Ilva".
La famiglia Riva era proprietaria del 90% della più importante azienda siderurgica, poi sottoposta all'amministrazione straordinaria dopo la crisi provocata anche da un'inchiesta della magistratura per disastro ambientale.
Il 14 febbraio scorso il giudice per le indagini preliminari aveva respinto le loro richieste di patteggiamento (che aveva invece avuto l'ok della Procura) spiegando che non potevano essere "accolte per assoluta incongruità delle pene concordate a fronte della estrema gravità dei fatti contestati". Tre giorni dopo la procura aveva chiuso le indagini
Il patteggiamento aveva avuto l'ok della procura di Milano, dopo che la famiglia Riva aveva trovato un accordo con lo Stato (annunciato dal premier Matteo Renzi a fine novembre) per rinunciare a contenziosi sul 'tesoretto' di 1,3 miliardi di euro, bloccato in Svizzera dai magistrati federali, dopo il sequestro richiesto nel 2013 dalla giustizia italiana. Soldi che, in base all'accordo, sarebbero appunto destinati alla bonifica ambientale dell'impianto di Taranto.
Dopo il no all'accordo, in una nota il gruppo Riva ha comunque confermato "la volontà di fattiva collaborazione con l'autorità giudiziaria di Milano e di Taranto e con il governo per la soluzione delle questioni riguardanti le problematiche Ilva".
La famiglia Riva era proprietaria del 90% della più importante azienda siderurgica, poi sottoposta all'amministrazione straordinaria dopo la crisi provocata anche da un'inchiesta della magistratura per disastro ambientale.