LA RECENSIONE. Il diritto di contare

di FREDERIC PASCALI - Una cosa certa, e incontrovertibile, è che i numeri non hanno colore e possono favorire chiunque sappia maneggiarli con destrezza. Se poi costui è anche un genio allora qualsiasi traguardo, anche il più arduo e impensabile, diventa a portata di mano. È la storia di Katherine Johnson, scienziata, matematica e fisica afroamericana che lavorò alla NASA sfidando le difficoltà di una stagione orientata alla discriminazione razziale e sessista.

Diretto da Theodore Melfi, “Il diritto di contare” trova spunto dal libro di Margot Lee Shetterly, “The Story of the African - American Women who helped win the Space Race”, che nella sceneggiatura di Allison Schroeder, e dello stesso Melfi, assume contorni più morbidi avvalendosi dell’ironia delle protagoniste per far pendere la bilancia del racconto più verso il lato della “commedia” che quello del “dramma”.

Katherine, Mary e Dorothy sono tre brillanti ragazze di colore che nella Virginia segregazionista degli anni ’60 hanno l’opportunità di lavorare alla NASA, ognuna impegnata in un programma scientifico propedeutico alla realizzazione del primo volo nello Spazio. Quando il Direttore, Al Harrison, si rende conto di aver bisogno di una matematica per il calcolo di orbite e traiettorie la scelta, tra la diffidenza di molti, cade su Katherine. Il suo entusiasmo dovrà fare i conti con l’ostracismo della maggior parte dei suoi colleghi, così come la tenacia di Mary e Dorothy nell’affermarsi nel loro campo sarà messa a dura prova da un retaggio culturale a loro ancora fortemente avverso.

Brave le interpreti femminili con la principale, Taraji P. Henson (“Katherine”)particolarmente a suo agio nel ruolo e Octavia Spencer (“Dorothy”) che strappa una nomination agli Oscar, rimasta poi tale, come miglior attrice non protagonista.

Non delude Kevin Costner (“Al Harrison”), coinvolgono le musiche affidate al trio atipico composto da Pharrell Williams, Benjamin Wallfisch e il grande Hans Zimmer, affascina l’elegante e patinata fotografia di Mandy Walker che esalta il lavoro scenografico di Stephanie Carroll e i bei costumi di Renee Ehrlich Kalfus.

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