OPINIONI. Pd, la crisi è d’identità

di FRANCESCO GRECO - Depurato da pregiudizi reciproci, personalismi devastanti, ormai patologici, “rottamazioni” e mancate legittimazioni, la questione Pd non è la scissione a freddo appena avvenuta, il congresso, la prevedibile deriva plebiscitaria del cantare nel coro, le primarie da gazebo a Piazza Venezia, il voto che definirà il suicidio.

Sono aspetti diciamo così ordinari, banali. Che resterebbero sullo sfondo ove Renzi avesse deciso di dare metà delle candidature alla cosiddetta “minoranza” di Bersani e D’Alema, Rossi e Speranza, anche se ancora non si sa con quale sistema di voto si voterà e si aspetta la legge elettorale per il Senato. Ma Renzi lo dicono un “anaffettivo”, anche così si è condannato alla fine.
 
Ciò che invece dovrebbe impegnare in una riflessione seria, non di facciata, demagogica, autoassolutoria (che magari si risolve nell’ennesimo anatema contro Grillo) il Pd dovrebbe essere l’identità, il chiedersi se ormai non sia esaurito il suo compito storico e avviarsi eventualmente nel cimitero ideologico della Storia.

Un dibattito che si sarebbe dovuto fare alla caduta del Muro di Berlino (1989), poi all’esplodere di Tangentopoli (1992), magari il 5 dicembre 2016, all’indomani della sconfitta (60% a 40%, 20 milioni contro 12) del governo e del Pd al referendum costituzionale.
 
Quella data è una svolta, uno snodo storico: ha decretato la morte politica di Renzi, del suo progetto politico che ha pensato di rilanciare al Lingotto con i turiboli fumanti: lo ha capito ma invaghito del proprio ombelico fa finta di nulla e punta a improbabili vendette.
 
Così si è intestato il 40% di “Si” fingendo di non vedere che l’altro 60% non è manco entrato nel merito delle riforme, ma ha ha votato contro di lui e la sua politica destroide.
 
Tutto questo tempo è stato invece dedicato alle invettive al M5S e a Roma: roba sociologica amplificata dai giornali embedded che lo aiutano a sbagliare coi loro turiboli. Così il partito s’è avvitato in una mesto cupio dissolvi, un harakiri. Forse il Pd è destinato all’estinzione: sono collassati imperi magnifici, si sono estinte splendide civiltà, popoli avanzatissimi sotto l’aspetto tecnologico e scientifico (si dice che Atlantide avesse l’energia atomica e i pc), religioni ben più complesse di quella cristiana. Non ci sarebbe nulla di strano: tutto ha un inizio e una fine, alfa e omega.
 
Oggi il Pd è sradicato dai territori e dai cuori della gente, il mitico “popolo” della sinistra non esiste più. Perde iscritti, militanti, simpatizzanti, elettori, parlamentari. Sopravvive perché ha dietro apparati, nomenklature, finanziatori (la politica non si fa con i fichi secchi), lobby.
 
Non ha identità, vive di rendita. Non è socialista, non è riformista, non è progressista: lo sa, ma nasconde tutto questo citando Clinton, Blair, Obama, ormai travolti dal populismo, il nazionalismo, il sovranismo. Invece di preparare incenso per le primarie e poi il congresso con la claque, di questo si dovrebbe discutere. Ma il condannato a morte è l’ultimo a sapere la sua sorte.
   
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