L’affascinante leggenda di Colapesce

di VITTORIO POLITO - Lo Stretto di Messina è terra di eroi, miti e di affascinanti leggende. Fra le tante, quella di Colapesce (o Colapisci) è quella più suggestiva di tutto l’immaginario siciliano.

Nicola (Nicolò o Cola), giovane bello e robusto, fu l’ultimo di numerosi fratelli che viveva con la sua famiglia a Messina in una capanna vicino al mare e fin da piccolo ebbe notevole confidenza con il mare. La sua passione per l’abisso superava ogni limite. Colapesce era marinaio, pugliese di nascita, che il re di Sicilia Ruggero II costrinse a scendere nel mare del Faro per esplorare gli abissi. Egli, infatti, voleva bene ai pesci e quando vedeva le ceste piene di pescato si disperava. Una volta mentre il padre ritornava dalla pesca, notò che nella cesta vi era una murena ancora viva, la prese e corse a gettarla in mare. La madre, accortasi della cosa, lo rimproverò duramente: “Se tu non ti ravvedi, possa diventare anche tu un pesce”. In realtà il corpo di Nicola pian piano iniziò a prendere sembianze tipiche dei pesci, tanto che poteva stare a lungo nell’acqua, nuotare per parecchio tempo, giocare con gli animali acquatici, indicare la via migliore ai naviganti e disincagliare le reti dei pescatori. Fu così chiamato Colapesce.

La sua fama crebbe tanto che, quando andò a Messina l’imperatore Federico II, volle conoscerlo e per metterlo alla prova lanciò in acqua degli oggetti preziosi, chiedendogli di recuperarli. Colapesce si immerse e recuperò gli oggetti, riconsegnandoli all’imperatore, informandolo nel contempo che la Sicilia poggiava su tre colonne, una delle quali era sotto la città di Messina, molto deteriorata e poteva spezzarsi a causa del fuoco che la consumava. L’imperatore volle sapere come era fatto quel fuoco e ne pretese un poco. Cola disse che non poteva portare il fuoco tra le mani, ma il sovrano si sdegnò, minacciando oscuri castighi. A quel punto Colapesce si rituffò, ma non riemerse più. Il motivo? Qualcuno sostiene che egli non è morto, ma è rimasto in fondo al mare sostituendosi alla colonna incrinata che minacciava di far sprofondare la sua amata Messina. Pare che ancora oggi adempie a questo compito.

Un anonimo cantastorie ha dedicato una canzone che è fra le più belle ispirate dalla leggenda di Colapisci. Secondo il cantore ambulante, Cola risponde così all’imperatore che lo chiama insistentemente: «Maistà, maistà, sugnu ccà, sugnu ccà, intra lu funnu di lu mari chi non pozzu cchiù turnari e pregai alla Madonna chi la rreggi ’sta culonna, ca sennò si spezzerà e a Sicilia svanirà» (Maestà, maestà, sono qua, sono qua, in fondo al mare perché non posso più tornare e ho pregato la Madonna di reggere questa colonna altrimenti si spezzerà e la Sicilia sprofonderà).

D’altro canto, la difficoltà di passare attraverso lo Stretto ha dato luogo ad una ricchezza di segni e presenze soprannaturali, alimentando l’immaginario mitologico. Piuttosto complessa è la ricerca delle origini di Colapesce che, per certi versi, è comune a vari paesi. In Italia lo fanno originario di Bari, Catania, Napoli, Genova e Messina, mentre all’estero lo troviamo in Spagna, Francia, Grecia e persino nelle acque africane della regione sudanese.

Molti scrittori contemporanei si sono occupati di questa leggenda. Qualcuno ha ipotizzato trattarsi di un anarchico, il ragazzo innamorato della vita che ama sognare, che non sta alle regole, che ama sfidare abissi e vedere fino in fondo a che punto arrivano le sue forze. Ma vi sono anche quelli che sostengono che Cola tornerà in terra quando fra gli uomini non vi sarà più nessuno che soffra per dolore o castigo.
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