OPINIONI. Se il tempo per indossare la divisa è considerato orario di lavoro, quello per fumare cos’è?

di VITTORIO POLITO - La curiosa sentenza del Tribunale di Bari che impone all’ASL di pagare 165 mila euro come risarcimento per il tempo impiegato dai dipendenti per indossare la divisa, impone alcune considerazioni. Qualcuno definisce la sentenza “storica”, io la definirei stramba e assurda, poiché dimostra che “La legge ‘non’ è uguale per tutti” e vi spiego perché.

La sacrosanta legge 3/2003, che tutela la salute dei non fumatori, vieta il fumo nei locali pubblici e in tutti i luoghi frequentati dal pubblico (ora un’altra legge vieta di fumare anche nelle auto), forse ha creato qualche problema ai datori di lavoro. Infatti, oggi i fumatori, per alimentare il vizio del fumo, – ho detto vizio – sono “costretti” a sorbire continuamente dosi di nicotina, e per fare ciò, devono, nella stragrande maggioranza dei casi, allontanarsi dal posto di lavoro, se il lavoro non è svolto all’aperto. Ora il tempo necessario per fumarsi una sigaretta è di 5-7 minuti che moltiplicato per 4-5 sigarette, fa un totale di 25-35 minuti al giorno che moltiplicato ancora per 20-25 giorni al mese totalizza 500-875 minuti, pari a 9-15 ore al mese, che il datore di lavoro paga per il “vizio”.

Orbene, chi ne fa le spese sono le amministrazioni e i datori di lavoro che subiscono, a loro danno, l’allontanamento di una buona parte dei dipendenti e per tante volte al giorno quante sono le sigarette che ciascun dipendente fuma.

Pongo una domanda a magistrati e datori di lavoro: a chi dovrebbero essere addebitati i costi per il minor lavoro e per i disservizi che inevitabilmente creano “gli assenteisti del fumo”, soprattutto nelle pubbliche amministrazioni? Considerando che, molti di questi “viziosi”, percepiscono, in molti casi, anche “indennità di lavoro straordinario”?

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