La recensione: Valerian e la città dei mille pianeti

di FREDERIC PASCALI - Si torna a viaggiare nell’Universo senza freni che solo la fantasia può concepire e animare e lo si fa con nella mente una foresteria di suoni, immagini e colori indelebilmente impressi nella trama di una storia che un visionario come Luc Besson rende cinema.
Il regista francese trasforma una lettura giovanile mai dimenticata, quella delle tavole scritte da Pierre Christin e disegnate da Jean-Claude Mézières. in una sorprendente cavalcata ai confini della meraviglia.

Un progetto che più che un’opera cinematografica ricorda una spettacolare video installazione che senza soluzione di continuità ingloba tutta la parte fantasmagorica della fantascienza prodotta per il grande e il piccolo schermo negli anni ’70 e ’80. Una specie di circo Barnum che trascende i confini dell’umanità felliniana e investe l’area cara ai ragazzi cresciuti al tempo di “Guerre Stellari”, “Blade Runner” e “Spazio 1999”, senza rinunciare a strizzare l’occhio ai contemporanei dei videogiochi, con città crittografate da invisibili prospettive virtuali che ricordano financo le atmosfere del passato dell’esperimento “Nirvana” di Gabriele Salvatores.

In questo dedalo di costruzioni e di citazioni si muovono i due protagonisti, Valerian e Laureline, perfetta coppia di agenti governativi che gli eventi e i superiori riportano su Alpha, la città dei mille pianeti che nei secoli ha visto affiancarsi centinaia di civiltà differenti. Qualcosa di strano è accaduto e l’ armonia che la diversità evocava è minacciata da una zona rossa contaminata da una misteriosa radiazione. Il maggiore Valerian e l’affascinante sergente Laureline hanno il compito di recuperare l’ultimo trasmutatore di elementi, un simpatico e innocuo animaletto, rimasto ancora in vita nell’universo. Apparteneva al popolo dei Mül che tutti pensano estinto da tempo.

“Valerian e la città dei mille pianeti” è uno di quei film fatti apposta per ritagliarsi un paio d’ore di totale evasione, al sicuro dal Mondo, senza temere svolte epocali, tensioni o drammi strappalacrime. Fanno perfettamente al caso i due interpreti principali, Dane DeHaan e Cara Delevingne, a metà tra eroe ed antieroe sono i rassicuranti bravi ragazzi della porta accanto che non tradiscono mai. Con loro alcuni pilastri del genere, Rutger Haurer ed Ethan Hawke, che da soli citano il passato e rendono l’intro di David Bowie, “Space Oddity”, il segnale per allacciarsi le cinture e godersi lo spettacolo.

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