Libri: intervista al giurista Salvatore Primiceri, autore dell''Etica del Buonsenso'


BARI - Incontriamo Salvatore Primiceri, giurista e saggista, da poco premiato con la menzione d’onore ad un premio internazionale (Montefiore 2017) per il saggio “Etica del Buonsenso” (Primiceri Editore, collana filosofia, 2016), un’indagine filosofica sull’agire umano.

Cos’è il buonsenso e perché questa parola risulta centrale nel testo?

Il buonsenso è una caratteristica che considero, nell’indagine oggetto del testo, innata nell’essere umano. Da tempo si studia e si dibatte se l’uomo abbia in sé fin dalla nascita una sorta di codice etico ovvero se sappia già distinguere il buono dal cattivo, l’ingiusto dall’ingiusto. A mio avviso sì ma è pur vero che tale capacità si modifica notevolmente nel corso della crescita di un individuo. Il contesto, l’ambiente, l’educazione, le relazioni, il modello sociale consolidato nel luogo in cui l’individuo si sviluppa influenzano notevolmente il comportamento e le scelte di ognuno di noi, spesso a tal punto da inserirci in schemi ripetitivi che finiamo col ritenere giusti e immodificabili. Il problema principale è quindi riscoprire ed esercitarsi ad utilizzare il buonsenso soprattutto quando la libertà della mente lascia sempre più spazio all’accettazione passiva di ciò che ci gira intorno.

Puoi farci un esempio?

Pensiamo ai bambini. Essi amano giocare con gli amici, si divertono ma spesso litigano anche. La libertà dei bambini consente loro di utilizzare il buonsenso molto meglio di noi adulti, tant’è che finiscono abilmente per risolvere da soli i loro “conflitti” e fare la pace. Il fine è quello di stare bene e divertirsi, il bambino ricerca la felicità ed ecco perché un problema merita di essere risolto con la massima creatività possibile, spesso collaborando e confrontandosi con gli altri. Gli adulti subiscono invece numerosi condizionamenti e il fine appare confuso: quante volte esaltiamo la rabbia e chiediamo vendetta confondendola con la giustizia? Potremmo mai trovare la felicità senza conoscere il vero significato di giustizia?

E quindi cos’è la giustizia… 

La giustizia in senso aristotelico non è la mera osservanza di regole accettate in un determinato periodo e contesto sociale. L’ordine dato dal rispetto delle leggi serve ad una convivenza civile, almeno nei paesi democratici, ma è insufficiente a restituire giustizia in senso di virtù (anche in democrazia). La giustizia vera è quella che và oltre le regole quando è necessario. Il buonsenso è quindi quel criterio che permette di ottenere risultati migliori che la semplice applicazione di una regola ad un caso specifico non restituirebbe.

Una sorta di mediazione?

Anche. Mediare è un’attività di buonsenso perché ci porta a costruire un percorso per soddisfare i bisogni di tutte le parti in campo eliminando il concetto di vincitori e vinti e, soprattutto, toglie la lente del giudizio. È importante sottolineare, però, che buonsenso non è un’attività di ricerca del compromesso, anzi è un vero atto di coraggio e, talvolta, persino rivoluzionario. Usare il buonsenso consente di uscire da schemi e rigidità che non ci permettono di trovare soluzione adeguate ai problemi. Per farlo occorre anche derogare alle norme se necessario.

Nel testo sono riportati diversi esempi pratici sulla scelta del comportamento da assumere di fronte a determinate situazioni dove diritto e morale si scontrano… 

Sì, è proprio questo il punto. Spesso percepiamo una sensazione di insoddisfazione o ingiustizia di fronte a come vengono risolte alcune controversie pur ammettendo che sono state applicate le leggi. È evidente che in questi casi c’è una lacuna. La giustizia intesa come sistema di regole appare soddisfatto ma non il senso più profondo di giustizia, quello aristotelico per intenderci. Per questo una decisione di buonsenso deve valutare tre elementi fondamentali prima di essere assunta: l’intenzione, l’azione e le conseguenze che potrebbero derivarne.

Un metodo infallibile per fare sempre la cosa giusta?

È certamente un metodo per recuperare l’uso del buonsenso e cercare di agire nel miglior modo possibile ma nel testo vengono ripresi diversi esempi riguardo all’impossibilità della scelta ovvero quei dilemmi morali dove qualsiasi sia la decisione presa, le conseguenze non saranno comunque positive per tutti. E lì la percezione dell’ingiustizia rimane nell’individuo anche quando sa di aver fatto tutto il possibile per non arrecare danno agli altri.

Ma l’uomo è anche capace di azioni molto cattive, come lo spieghi?

Credo che nasciamo sostanzialmente buoni ma possiamo molto peggiorare, per tanti motivi (educazione, esperienze, contesto sociale…). Però Adam Smith diceva che per quanto egoista, l’uomo non può esimersi dal vivere e collaborare con gli altri. Pur avendo un’indole che guarda in modo utilitaristico ai propri interessi l’essere umano intelligente sa che i propri obiettivi si realizzano più facilmente insieme alla cooperazione e collaborazione dei propri simili; l’importante per dirla alla Kant, è che le persone siano sempre il fine e non il mezzo per soddisfare i nostri interessi.

Kant però diceva che ciò che conta è l’intenzione…

Vero ma non dimentichiamo che Kant muoveva l’intenzione (l’imperativo categorico) nella logica di un grande fine, l’inviolabilità della dignità umana.

Complimenti Salvatore. Etica del Buonsenso è un saggio-viaggio in cui ti circondi di numerosi pensatori del passato e anche più recenti, da Socrate a Rawls, passando per Seneca, Cicerone, Tommaso d’Aquino, Kant Bentham, Mill e tanti altri.  C’è molto da leggere e da scoprire nel tuo saggio di cui abbiamo solo potuto accennare solo alcuni dei tanti spunti di riflessione. Non ci resta che ringraziarti e invitare tutti a leggerlo con l’interesse che merita.

Grazie tante a voi.

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