Sinistra: così parlò il Cioni da Empoli

di FRANCESCO GRECO - Dal Vangelo secondo Cioni. Peccato che sia rimasto confinato negli angusti territori della Toscana di Savonarola, Leonardo, Montanelli e Benigni, dove pure di potere ne ha avuto e gestito. Che i talk politici l’abbiano ignorato: in tv avrebbe funzionato coll’istinto da comunista ante-muro che si ritrova.
 
Perché il Cioni è un format, pura sociologia, un archetipo del Novecento, scava l’antropologia della sinistra di ieri, utile a capire quella d’oggi, magari quella in progress.

Il Cioni è un’icona, un grumo semantico, il nostro Stakanov in riva all’Arno. Sarebbe piaciuto un sacco a Fellini che di “maschere” se n’intendeva.
 
Infanzia povera a Empoli: guardava gli altri mangiare il gelato, le vetrine, poi commesso in una cartolibreria, cenciaiolo insieme al padre, madre sarta a domicilio. Proletario a 18 carati.
 
Cinque figli da tre compagne diverse, una, Valentina, morta a 26 anni (22 novembre 1996) di incidente stradale mentre tornava da una partita di basket del fidanzato (il camion che la travolse aveva fretta di portare funghi).

Tre infarti, un processo per corruzione con assoluzione, l’infido morbo di Parkinson (“il male inglese”) che lo tormenta.
 
“Cioni ti ama” (Diari e memorie), Sarnus/ Polistampa Edizioni, Firenze 2017, pp. 160, euro 14,00, è la prosecuzione dell’autobiografia iniziata con “Cioni ti odia”, ma stavolta è meno devastante, più magnatica, disposta all’ascolto.
 
“Uomo di spiccata personalità e carisma”, (Eugenio Giani nella presentazione), tanto da meritarsi il titolo di “sceriffo”, prete mancato, il Cioni è più sapido e pungente, a tratti lirico, però sempre sincero sino a essere spietato. Con se stesso innanzitutto e poi col mondo visto con format culturali datati.
 
Gioie e dolori, speranze e frustrazioni, tutto intorno è cambiato, la vita lo ha scafato ma non inacidito, la parabola umana gli ha dato un intuito che diviene password per leggere la realtà politica ma anche il cuore degli uomini, le loro debolezze e sconcezze.
 
Il Cioni regge anche, o soprattutto, come filosofo che riflette sulla vita esigua, incerta, la vecchiaia carogna che ti aspetta e ti tortura, la morte improvvisa, il dolore che ti scava l’anima, l’impotenza degli umani dinanzi ai capricci del fato.
 
Godibilissimi gli acquerelli dei politici che ha conosciuto, I e II repubblica. Di D’Alema si dice “estimatore” finché da premier non sgancia bombe sull’ex Jugoslavia. Di Veltroni non gli piace il rinnegare d’essere stato comunista, manco fosse un’infamia. E di aver inventato il partito “leggero, liquido”, poi migliorato da Renzi (“tanto abile e astuto, quanto cinico, vendicativo e implacabile”, pennella), di cui ricostruisce l’ascesa, da Firenze a Roma, svelando retroscena più intriganti di quelli che pubblicano i giornali. Un po’ dolce, un po’ abrasivo, ricostruisce i cv di Nardella, Carrai, Lotti, Boschi, Cantini, Verdini, Vannoni, Letta, Bersani, Napolitano, ecc.
 
Di Renzi (che porta nato nel 1977: un refuso?), “monarca dell’era moderna”, gli piace il lessico: asfaltare, rottamare, bellezza, sogni, desideri, ecc. Pensa che è finito il renzismo, non lui. Sibillino aggiunge che “in politica il Messia non esiste”. Sarà. Il Renzi 2 che si profila all’orizzonte dice fra l’altro che comunicare conta più del messaggio di cui si è portatori, spesso anzi surroga la sua assenza ed essenza, la metafisica impalpabilità e vaghezza, retorica e populismo. Lo chiamano marketing, ma esiste dai tempi di Cesare, Carlo Magno e Federico II.

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