La forma dell’acqua: la recensione

di FREDERIC PASCALI - Il meraviglioso mondo di Amélie Poulain ha un suo alter ego distopico, con una nuova protagonista confinata in un  microcosmo di piccole e solitarie abitudini vissute con il piglio dei semplici di cuore. È il mondo di Guillermo Del Toro che dirige la sua fiaba dai contorni noir con un’eleganza tale che tutti gli interpreti sembrano essere elementi di una perfetta coreografia danzante. Non pochi sono i rimandi e le citazioni, da i fratelli Coen a Hitchcock (il “mcguffin” dell’uovo), che convergono nel tema del “diverso”, materia forgiante dell’intero racconto nel quale confluiscono sia lo spirito drammatico che quello romantico.

La storia ambientata nel 1962,in piena guerra fredda, segue la vicenda di Elisa, una donna affetta da mutismo, non più giovanissima, impiegata come addetta alle pulizie di un super segreto laboratorio governativo americano. Prigioniera di una routine quotidiana ossessivamente ripetitiva, confortata della presenza di soli due amici, la collega Zelda e il vicino di casa Giles, un anziano artista dall’omosessualità celata, casualmente si imbatte in una creatura dalle sembianze di uomo anfibio frutto di un qualche maldestro esperimento. È l’inizio di un legame inedito e impensabile.

“La forma dell’acqua” ha una indubbia natura poetica e ironica esaltata dalla bravura degli interpreti,a cominciare dalla superba Sally Hawkins, “Elisa”, empatica con la fotografia cupa e acida di Dan Laustsen,  agli irresistibili caratteristi Michael Shannon,”Richard Strickland”, e Richard Jenkins, “Giles”, per finire con Octavia Spencer, “Zelda”. Vincitore del Leone d’Oro all’ultimo Festival di Venezia, la pellicola di Guillermo Del Toro si avvicina alla notte degli Oscar con il record di Nomination, tredici, senza, tuttavia, riuscire a fugare completamente la sensazione ricorrente di dèjà vu che ne attanaglia tutti i passaggi di sceneggiatura,a cura di Vanessa Taylor e dello stesso regista, che spingono le caratteristiche drammatico avventurose fino a lambire pericolosamente i margini del grottesco. Alcun dubbio invece per la musica di Alexandre Desplat che, oltre la candidatura alla statuetta, raccoglie ancora una volta plausi ed elogi.

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