The Post: la recensione

di FREDERIC PASCALI - C’è un’attenzione meticolosa nella cura dei dettagli con il debutto degli anni ’70 del Novecento che prende prepotentemente possesso del nostro immaginario,c’è un cast di grande bravura capeggiato da due “fuori categoria” del calibro di Merily Streep e Tom Hanks, c’è una fotografia, di Janusz Kaminski, che attenua e inacidisce ovunque i toni degli interni e imbastisce tutta la forza del racconto nella luce di un’epoca di straordinari  cambiamenti,e infine c’è la regia di Steven Spielberg, garanzia assoluta di rigore e di consensi. C’è tutto questo in “The Post”, un patrimonio notevole ma non sufficiente per scrollarsi di dosso la sensazione di una superficie ordinata che dal principio già rivela l’immutabilità della sua visione prospettica.

Il “New York Times” fa un incredibile scoop pubblicando una parte dei top secret “Pentagon Papers” relativi alla guerra del Vietnam, commissionati nel 1967 dall’allora segretario degli Esteri Robert McNamara. Dopo che un giudice ne blocca l’uscita la palla passa al “Washington Post” capitanato dall’editrice Katharine Graham e dal direttore Ben Bradlee. Il giornale non attraversa uno dei suoi momenti migliori e la decisa, e decisiva, quotazione in Borsa potrebbe essere messa in forse da una qualsiasi mossa azzardata.

“The Post” è senza dubbio una pellicola che compie fino in fondo il suo dovere di testimonianza storica, senza tuttavia riuscire a sottrarsi alla tentazione di una copiosa laccatura retorica, pericoloso viatico verso l’azzeramento espressivo dei numerosi primi piani che segnano il cammino dell’intera trama. Non fa eccezione la sceneggiatura del duo Liz Hannah e Josh Singer che disegna i personaggi di un’aura vintage autoreferenziale incapace, per tutta la prima parte, di effettuare il salvifico cambio di ritmo. Dialoghi e monologhi, in tal senso, non appaiono immuni da colpe e la scelta di riservare alla figura del presidente Nixon uno spazio antagonista al limite del grottesco non fa che acuire questa sensazione. Tuttavia, la seconda parte, pur non sciogliendo tutte le titubanze della prima, consegna slanci narrativi e acuti interpretativi degni delle aspettative. In questo frangente si fanno apprezzare le seconde linee come Bob Odenkirk, “Ben Bagdikian”, e Matthew Rhys, “Daniel Ellsberg” e i costumi di Ann Roth. Alla fine la somma di tutto fa un totale di sole due Nomination agli Oscar: quella per il miglior film e la miglior attrice protagonista, la ventunesima candidatura di Meryl Streep.

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