Austerity o spesa? This is the question

di FRANCESCO GRECO - Austerity o spesa pubblica no limit, magari di matrice elettorale? Rigore dei conti o investimenti nelle infrastrutture (sempre quelle: Ponte sullo Stretto, Tav, ecc., e poi non chiudono manco le buche di Roma) di denaro virtuale (o derivato da tagli lineari), nella speranza, magari un po' ingenua, di una ricaduta virtuosa sul sistema, al centro e in periferia, classe media e nuovi poveri (“i perdenti”)? This is the question, direbbe il bardo.
 
Due scuole di pensiero pregne di chiaroscuri, entrambe relativizzate dalla globalizzazione, dalla lettura che se ne dà, e dal liberismo selvaggio, facce perverse del sovranismo e del populismo, che si reggono su propaganda e fake-news.
 
La giovane economista Veronica De Romanis riflette su questi concetti semanticamente affollati e riccamente innervati in “L'austerity fa crescere” (Quando il rigore è la soluzione), Marsilio Editore, Venezia 2017, pp. 158, euro 16,00, (collana “Nodi”, realizzazione editoriale Valeria Bovè).
 
Non è un partito preso, come direbbe Totò, a prescindere. Dividendo l'austerity in buona e cattiva, a seconda degli esiti, l'economista (insegna Politica Economica Europea alla Stanford University di Firenze e alla LUISS Guido Carli a Roma) ci conduce nei retroscena delle crisi economiche/politiche degli ultimi anni, spiegandone le dinamiche interne, citando fonti, portando dati, estrapolando link: la Grecia di Tsipras, la Spagna di Rajoy, la Brexit al tempo di Cameron, il Portogallo, la Francia (e la sindrome degli idraulici polacchi), ecc.
 
Se la politica ha anche una componente di suggestione, o psicologica, spesso prevalente, l'economista dimostra dei differenti riflessi a seconda dei popoli e dei momenti storici. Se ben l'85% del welfare italico va ai vecchi, se gli 80 euro di Renzi (2014) non hanno incrementato i consumi, se la classe media si è estinta, se i figli oggi hanno meno chance dei padri, ai giovani non resta che emigrare col master e il trolley. Per non tornare più.

Anche così i populismi fanno il pieno elettorale senza un'idea, una visione, un barlume.
 
Ma dove la De Romanis è davvero superba, e anche convincente, è nell'analisi delle forze “antisistema”, la nascita e l'affermazione dei movimenti populisti di destra (Austria e Polonia), sinistra (Grecia, Spagna) o neutri (posto che ne esistano e quello del M5S non sia piuttosto un espediente culturale, levantino, opera di un algoritmo per drenare consenso dappertutto, com'è avvenuto il 4 marzo 2018).
 
L'aggettivo “resistibile” che mette accanto al termine “ascesa” (riferito sempre ai populismi), scalda il cuore di chi, ovunque nel mondo, vive questa fase come una cappa di piombo nel cielo sopra la sua testa, come se gli mancasse l'aria: dagli USA sovranisti al Belpaese cromaticamente originale in gialloverde, Lega al Nord, Grillo al Sud, come se ci fosse stata una scissione “dolce”.

I francesi invece sono stati scaltri: per arginare la deriva populista hanno messo su con Macron una sorta di unità nazionale.
 
Offrire “soluzioni semplici a problemi complessi” è il tratto distintivo dei populismi. Votati dai “perdenti della globalizzazione”, per “contrastare gli svantaggi derivanti dalle maggiori aperture della economie”, che si vorrebbe contrastare con la chiusura. Ma chiudersi, dice la De Romanis, “non può essere considerata una strada praticabile, perchè i mercati sono oramai troppo integrati e interconnessi...”. E cita Bill Gates, per cui la globalizzazione “offre più opportunità che svantaggi”.
 
Saranno i mercati (come fu per Berlusconi nel 2011) a riportare in campo le forze politiche tradizionali, sconfiggendo gli aberranti algoritmi, formattando piattaforme e app che ci imprigionano  come i lillipuziani con Gullliver?

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto