Il COMMENTO / Petruzzelli, una serata quasi indimenticabile

di Adriano Abrusci
Indescrivibile. L’emozione della Prima non può essere riassunta. Ogni frase, parola o espressione non renderebbe giustizia alla verità di intime e personalissime sensazioni che, chiunque abbia avuto l’onore di assistere ad un evento di tale portata, inevitabilmente assapora. Teatro magnifico, organizzazione impeccabile, scaletta equilibrata, programma musicale infallibile, ogni singolo particolare attentamente curato. Tutto lascia presagire una serata unica. Forte, quasi palpabile l’emozione di un pubblico elegante che, a proprio agio su poltrone scarlatte, attende impaziente la fine di un silenzio durato 18 anni. Il brusìo scomposto divien presto rispettosa quiete non appena, all’imbrunir della sala, il ricordo di quella mai lontana notte di ottobre si fa strada prepotentemente nella mente e nel cuore di ognuno intento a fissar sgomento il soffitto che arde, tuonando violento l’eco di quelle maledette fiamme. Un angosciante rappresentazione di quanto non dovrà più essere, che rende ancor più amabili le successive proiezioni, sull’ormai nuda cupola, di cieli stellati e meravigliosi, e coloratissimi, irrimediabilmente perduti, affreschi che l’Armenise realizzò ad ornamento della medesima volta, tutto immerso nella soave armonia di un’aria di belliniana Norma che solo la Divina Callas riesce a render così penetrante e capace di racchiudere l’intensità dell’intera opera, ultimo frammento di paradiso in quelle mura prima dell’inferno. Vigorosi applausi, salutando questa pregevole rappresentazione, accompagnano, poco dopo, l’ingresso sul palcoscenico di orchestra e coro (della Provincia l’una, della Fondazione l’altro), diretti da un entusiasta Fabio Mastrangelo, in una fiera esecuzione del nostro inno nazionale. Gli stessi brevi interventi di quanti di dovere (Emiliano, Vendola, Schittulli e Letta) hanno inteso, più che rinverdire polemiche e dibattiti politici mai sopiti, comunicare, non senza gli opportuni ringraziamenti, la viva gioia di poter finalmente riconoscere, da pulpito grandemente agognato, la magnificenza di cotanta opera che, contenitore d’Arte, è già opera d’Arte in sè. Nessun ulteriore indugio quindi prima di tornare finalmente ad ascoltare la Musica risuonare in ogni anfratto del rinato teatro, accogliendo tutti con immutato entusiasmo un’opera che, per grandiosità e valore, di certo è tra le più degne ad accompagnare eventi di cotanta rilevanza. L’innegabile complessità tecnica di questa pagina beethoveniana non ha spaventato quanti, con grande dignità, hanno duramente lavorato nel poco tempo loro concesso, per offrire al pubblico (indegno per la dimostrata ignoranza, musicale s’intende) un’esecuzione della Nona sinfonia purtroppo non propriamente all’altezza delle aspettative, delle potenzialità e dell’occasione. L’ottima acustica si è dimostrata impietosa nel restituire la perizia tecnica degli esecutori, a dir la verità troppe volte incappati nelle numerose difficoltà esecutive. La maestria del barese Mastrangelo ha retto adeguatamente ad ogni imprevisto, non avendo tuttavia disdegnato l’utilizzo di una fisicità nella direzione a volte troppo poco marcata, e dunque determinante, in alcune occasioni, una sorta di spaesamento dei diretti. Un risultato assolutamente decoroso, ma non tra i migliori che tutti questi musicisti sarebbero in grado di offrire, è stato lo scotto da pagare per una non più rimandabile apertura. Apprezzabilissima la scelta di consegnare nelle mani di musicisti baresi l’inaugurazione del Petruzzelli, resta tuttavia da chiedersi se non fosse opportuno concedere più tempo per una più adeguata preparazione che offrisse un Beethoven più intenso e profondo e meno superficiale e accademico.

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