Addio giornalisti pubblicisti? Facciamo un pò di chiarezza

di Maria Teresa Lattarulo. Nelle ultime ore si è diffusa la notizia secondo la quale il cosiddetto decreto “Salva-Italia” adottato dal Governo Monti avrebbe disposto la soppressione, a decorrere dal 13 agosto 2012, della categoria dei pubblicisti in quanto in contrasto con il principio costituzionale, sancito dall’art. 33 quinto comma Cost., che richiede un esame di Stato per l’accesso alle professioni.
In realtà nel testo del decreto tanto citato non vi è alcun riferimento alla categoria dei pubblicisti, né tantomeno ad una soppressione di questa e le notizie diffuse non risultano fondate alla luce delle norme e della loro interpretazione.
E’ opportuno ricostruire il quadro normativo, a costo di essere un po’ noiosi. Bisogna partire dal decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, il quale all’art. 3 comma 5 dispose l’obbligo di procedere ad una riforma di tutti gli ordini professionali entro dodici mesi per adeguarli ai principi elencati nelle lettere da a) a g) dello stesso articolo, riguardanti il divieto del numero chiuso, l’obbligo della formazione continua e dell’assicurazione, la disciplina delle tariffe, della pubblicità e del tirocinio. Successivamente, con la legge di stabilità n. 183 del 2011, il predetto comma 5 è stato modificato prevedendo che entro il 13 agosto 2012 dovesse essere adottato un decreto del Presidente della Repubblica per attuare i principi sopra indicati. Su questo punto è intervenuto il decreto del Governo Monti (decreto-legge 201/2011, convertito nella legge 22 dicembre 2011 n. 214, G.U. n. 300 del 27/12/2011 suppl. ord. n. 276) il quale, all’art. 33, si è limitato a prevedere che, in mancanza di adozione del decreto del Presidente della Repubblica, le norme degli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5 lettere da a) a g) sono abrogate in ogni caso dalla data del 13 agosto 2012. Attualmente, pertanto, l’art. 3 comma 5, nel testo risultante dalle numerose modifiche, dispone:
“Fermo restando l'esame di Stato di cui all'articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l'accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Con decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2 della legge 23 agosto 1988 n. 400, gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:
a) l'accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull'autonomia e sull'indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, è consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico, tra cui in particolare quelle connesse alla tutela della salute umana, e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalità o, in caso di esercizio dell'attività in forma societaria, della sede legale della società professionale;
b) previsione dell'obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell'obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall'ordinamento professionale che dovrà integrare tale previsione;
c) la disciplina del tirocinio per l'accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l'effettivo svolgimento dell'attività formativa e il suo adeguamento costante all'esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l'accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a tre anni diciotto mesi [modifica inserita dall’art. 33, comma 2, del D.L. 201/2011, modificato in sede di conversione solo per profili di coordinamento formale] e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
d) il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale. Il professionista è tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell'incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente è un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell'interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia;
e) a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti;
f) gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
g) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l'attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.
5-bis. Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con i principi di cui al comma 5, lettere da a) a g) sono abrogate con effetto dall'entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5, e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012”.

Come può facilmente constatarsi, è prevista l’abrogazione delle sole norme in contrasto con i principi indicati alle lettere da a) a g), fra i quali non è incluso l’esame di Stato. Quest’ultimo è solo richiamato in modo generico all’inizio della norma, ma quando il comma 5-bis prevede l’abrogazione automatica esso non è menzionato. Pertanto non può affermarsi che il decreto Monti disponga l’abrogazione automatica, dal 13 agosto 2012, delle norme degli Ordini in contrasto con il requisito dell’esame di Stato.
Chiarito l’equivoco, bisogna aggiungere che la stessa Costituzione prevede tale requisito ai soli fini dell’accesso alle professioni e, pertanto, non è in contrasto con esso la previsione di un albo dei pubblicisti, per iscriversi al quale non è previsto tale esame: infatti l’attività del pubblicista, come evidenzia la stessa distinzione rispetto alla categoria del giornalista professionista, non è qualificabile come esercizio di una “professione”, ma come esercizio della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.
Dunque non solo il legislatore non ha inteso sopprimere l’albo dei pubblicisti, ma tantomeno avrebbe potuto impedire l’attività in sé di pubblicazione di articoli su giornali da parte di soggetti non professionisti che è intangibile in quanto costituisce esercizio di un diritto fondamentale sancito dalla nostra Costituzione.
La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza del 1968 n. 11, ha statuito che l’art. 21 Cost. “sarebbe certo violato se solo gli iscritti all’albo fossero legittimati a scrivere sui giornali” e che “l’appartenenza all’Ordine non è condizione necessaria per lo svolgimento di un’attività giornalistica che non abbia la rigorosa caratteristica della professionalità”, sebbene non sia né occasionale né gratuita.
In conclusione, se gli Ordini rifiutassero dal 13 agosto 2012 l’iscrizione all’albo dei pubblicisti, il provvedimento sarebbe impugnabile e annullabile da parte delle competenti autorità.
Inoltre, qualora in futuro una legge dovesse sopprimere l’albo dei pubblicisti, ciò non comporterebbe che solo i giornalisti professionisti possano scrivere sui giornali, ma lascerebbe fermo il diritto costituzionalmente garantito per i non professionisti di pubblicare anche in via continuativa.

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