Nel 'Profumo di risacca' batte il cuore dell’uomo

di Francesco Greco - “Profumo di carta, / stilla da pagine che piano si sfogliano / mentre parole d’inchiostro / come impronte preziose / ti condurranno in luoghi incantati / Qui tu vivrai mille vite… (“Idrusa”). E anche noi possiamo viverle, con la password della poesia dell’opera prima di Fabiana Renzo “Respiro di risacca” (Frammenti di conchiglie e maree), Edizioni Kurumuny, Calimera / Martignano, Lecce, pp. 76, € 8.50 (con una pregnante, toccante prefazione di Ilaria Seclì).

La poetessa, per completezza d’informazione, è nata a Morciano di Leuca (Le), è laureata in Scienze della Comunicazione, ha alle spalle due saggi sullo sviluppo del territorio, “Slow Foot” e “Verso Sud” e un libro di racconti, “Tre fili di lino sottile” (Libellula Edizioni, Tricase, Lecce, 2013). La prima cosa che salta agli occhi è la dedica: “A Giovanna 1883, / delle Lucrezie poetessa / e pescatrice di libertà”. E’ il delicato “tribute” alle radici, alla loro nobiltà, alla sensualità della memoria, alla ricchezza semantica della storia, del passato.

Giovanna è la bisnonna: donna di temperamento e radiosa, bella anche da grande come lo sono solo le donne del Sud, quelle di ieri, d’oggi, del III Millennio, del tempo che verrà. E la memoria è una delle infinite chiavi di lettura delle 30 poesie (la raccolta nasce da una selezione rigorosa, è divisa in 3 sezioni: Strazzi, Lampare, Tramacchiati, termini arcaici, local, poi tradotti nel glossario) proposte, che in questi giorni è in tour con piacevoli presentazioni un po’ ovunque in Terra d’Otranto.

La poesia della Renzo ha un approccio minimalista: apre gli occhi incantati sulle cose ordinarie, quotidiane (”raccogli critimi e conchiglie… nel solco dei due mari”, “Leuca”), per riscriverne l’etimo più vero attraverso, come nota Ilaria Seclì la “luce metafisica” di “finibus terrae”, quella luce implacabile che dolce e violenta denuda uomini e cose, stati d’animo e ansie, pudori e passioni, sentimenti e profondità interiori, epos ed etos, silenzi vellutati e dense affabulazioni (“un uomo seduto a filosofare / racconta del cosmo”, “Sidereus”).

Versi lievi come farfalle che liberano la voce del fanciullino pascoliano che è in noi, soffocato dalla volgarità e la bruttezza del tempo che, per dirla con Cioran, ci è toccato in sorte. E che non sappiamo più ascoltare, confusi, storditi dalla babele semantica di segni-sogni di massa.

E’ una poesia odorosa, che sa di pane appena cotto e che dà corpo e voce all’incanto, al respiro della natura, agli impercettibili sobbalzi del cuore (rammendo amuleti / sopravvissuti a intemperie”). Lasciando intravedere mondi inesplorati, universi da osare, fuori e dentro di noi (“nel mare senza fondo”). Echi improvvisi, sintonie dilatate, illuminazioni inaspettate (“rituali dimenticati”), svelano dolcemente un’umanità possibile (la poetessa la lascia intravedere sullo sfondo di un passato che riemerge con i suoi dolci iceberg) se solo ritrovassimo l’innocenza dello sguardo, se ascoltassimo la voce del cuore, il respiro insonne dell’Universo (“E’ tempo che a parlare siano le cose mute”, ammonisce Ilaria Seclì).

“Creatura d’acqua” (ma anche di terra, aria e fuoco), Fabiana Renzo scrive i suoi versi sulla riva di uno spleen dialettico, osservando nel cielo del suo mare il volo dell’albatros di Baudelaire e, come se possedesse l’aleph di Borges, coglie il respiro della risacca del mare della sua infanzia, ci dona versi unti di sale, pregni di fatica (“mani ruvide e nodose / capaci ancora di sognare” nelle terre della sete : “Qui è acqua ovunque, / lago sotterraneo per miglia… Pregò la Madonna che non sapesse / di troppo sale quell’acqua”) e ci indica un mondo di bellezza e di armonia. Un mondo di “coralli e madreperle, amuleti, stoffe pregiate e bianchissime, organza e percalle. Siamo nel ninfeo del mondo…” (Seclì). A portata di mano se solo relativizzassimo la violenza, l’egoismo, la rapina (“Poi da un’altura si stagliano / improvvise / grandi pale eoliche inchiodate / come giganti…”), il gioco crudele e vuoto delle marionette a cui ci hanno-siamo ridotti.

La poetessa, dice la Seclì, “rianima mondi, disseppellisce ciò che l’uomo senza attenzione confina nelle discariche della dimenticanza”. Atout del libro è la non monumentalizzazione retorica del paesaggio, la sterile rappresentazione. La Renzo si distacca da un trend oggi diffuso e anzi lo veste d’un abbagliante nitore, cogliendo, con gli “occhi dell’inizio… mute e minute presenze del mondo”, la dimensione panteistica, maieutica, escatologica della natura (“Agli uomini è dato di vivere un paradiso già qui, sulla terra, ma a pochi è data la facoltà di abitarlo”, ancora la Seclì).

Lo fa viaggiando con “giochi cosmici, siderali”, nel tempo (“Qui il tempo trova la sua misura... il tempo viene liberato”) ma anche nei luoghi (attinge alla biografia), trasfigurandosi in due identità colte, contaminate da un’unica sensibilità: quella del Sud (“questo tripudio d’archi di lecciso / dove ha respiro il vento”) dov’è nata e col latte materno ha succhiato gli archetipi (“risposte e segni / che non riesco a decifrare”) di una cultura millenaria (“un Sud assolutizzato, mitico, intemporale eppure attualissimo”) e di Roma, la città dove ha studiato e vissuto.

Un sentimento d’appartenenza che la poetessa fa entrare in un gioco dialettico di grande, emozionante coinvolgimento, cosciente che ogni orizzonte ha il suo fascino, la sua bellezza: basta saperli afferrare (“ha fame di gelsi il mio cuore… di more e conche di sale”), vivere, metabolizzarli (“e mi pare di essere un estraneo / sia qui che lì”). “M’abbracciano ulivi danzanti… Qualcuno, poi, sale in cima a una paiara / e accende, in una volta tutte le stelle… Dov’è la terra rossa che io cerco?... Terra rossa, / tappeto d’amaranto…”. Il Sud (“Qualcuno bussa alla vecchia porta / girata a maestrale / e chiede di barattare una cassetta di cefali / per quattro fichi secchi…”), Roma (“Si stiracchia il Circo Massimo”), l’Europa (“Raccontami ragazzo l’Europa, / mentre il vento ti scompiglia i capelli / e li profuma di sale”): “lingue diverse ma d’animo uguale”. “…Una bimba dagli occhi di ghiaccio / gioca a prender farfalle / dal fular della vicina”; “‘Ti racconto la mia storia’, dice, avvolta nel suo sari amaranto…” (“Il treno per Ostia”).

Un sentimento cosmopolita capace di unire i cuori di tutti gli uomini, ansiosi di bellezza, contaminati dalla stessa energia cosmica, che Fabiana Renzo ci restituisce in versi di una purezza che lascia senza parole.

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