“L’occhio guarda a Sion”, la Terra Promessa

di FRANCESCO GRECO - All'indomani dell'armistizio (8 settembre 1943), la diaspora provocata dalla guerra si trasforma, cambia semantica. Popoli, etnie, uomini senza patria né terra, cercano altre patrie e terre dove tentare di riprendere le fila della loro travagliata esistenza.
La Puglia era stata liberata per prima dagli Alleati (settembre '43), ripulita da nazisti e fascisti, tant'è che nasce Radio Bari. In più, ha una posizione geografica strategica per ogni tipo di opzione esistenziale, soprattutto è una porta spalancata sul Medio Oriente. Elementi significativi, decisivi che spiegano la presenza massiccia di due etnie in particolare di cui diviene la mèta, la “Terra Promessa”.

Gli Ebrei sognano il ritorno in Palestina dove nel maggio 1947 nascerà (con una risoluzione Onu) lo Stato di Israele. I polacchi invece indugiano nel Salento: nel 1940 Stalin ha massacrato a Katyn la classe dirigente del paese dandone la colpa ai nazisti. Premesse sufficienti nutrire qualche dubbio sulle ipotesi di un futuro di libertà e democrazia.

Le piccole comunità polacche provenienti dall'area balcanica restano un po' sullo sfondo ma intrecciano i loro destini con gli Ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio. La rappresentazione della galassia ebraica è ben ricostruita e documentata in “L'occhio guarda a Sion”, Salomone Belforte Editore, Livorno 2016, pp. 190, euro 14, terzo lavoro della scrittrice pugliese Tina Aventaggiato (“Abigail è tornata”, Loffredo, Napoli 2011 e “Vento freddo sull'Arneo”, Loffredo 2013). Belforte è nato nel 1805.

Da Santa Maria al Bagno (Nardò) a Castro, Santa Cesarea Terme, Santa Maria di Leuca, ecc., piccole community “prodotti di guerra” interagiscono con la gente del Salento con cui condividono il sogno di un domani diverso, dove i “poteri forti” (quelli che decidono le guerre e che poi le fanno combattere ai poveri, disprezzati da Hemingway che li chiama “porci”) siano ridimensionati e messi nelle condizioni di non spargere la loro perfida gramigna di cui sono i popoli poi a pagare il prezzo amaro.

Polacchi ed Ebrei hanno due sogni: i primi tentano di acculturarsi aprendo ovunque scuole nell'ingenuo tentativo di dotarsi di una classe dirigente e tornare così in patria per riprendere in mano il loro destino. Gli Ebrei invece pensano alla “Terra Promessa”, quella degli antenati, dove si ritengono al sicuro dopo che la Germania e l'Italia erano state matrigne.

Anche in questo lavoro Tina Aventaggiato usa la sua originale, personalissima cifra divulgativa, intrecciando la verità storica ai percorsi esistenziali dei protagonisti, la loro ansia del domani, in un magma che rapisce e commuove. Una tecnica narrativa che consente di entrare negli aspetti più segreti della storia e la vita e le loro interfacce, ricostruite nella loro quotidianità: un pathos che riecheggia il Primo Levi di “Se questo è un uomo”.

Dal particolare all'universale e viceversa, dal borgo del Salento al grande fiume della storia, opere come “L'occhio guarda a Sion” avvicinano le nuove generazioni alla complessità della realtà storica e del suo mood intenso, e consentono la maturazione di una coscienza etica e civile in un momento in cui vorrebbero farci vivere in un presente facilmente taroccabile, per poter essere dominati e menati al pascolo come bestiame brado dagli eredi spirituali di quei regimi ripugnanti, morti, condannati per sempre.

La distanza culturale è così ampia che gli Ebrei hanno nomi curiosi: “l'uomo che parlava male l'italiano”, “la ragazza dalla treccia bionda”, ecc. Ma un destino comune unisce Salentini ed Ebrei, costruendo un melting-pot (“la piramide delle razze”), cui si dovrebbe guardare oggi che il razzismo serpeggia fra di noi e dà corpo a fantasmi che si pensava esorcizzati per sempre dalla mente e dal cuore dell'uomo.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto