“Nel Rinascimento la cucina era un'arte”. Parla la scrittrice Ketty Magni

di FRANCESCO GRECO — MILANO. Bottura “con il lavoro di squadra” porta la cucina italiana sul tetto del mondo. Il primo posto a ”World's 50 Best Restaurants”, l'Oscar della ristorazione, per la sua Osteria Francescana (da “La Stampa”). Un premio prestigioso a uno dei nostri chef più famosi, e modesti, rilancia l'eccellenza della cucina italiana nel mondo, il buon cibo, il km zero, la dieta mediterranea che significa buona salute e lunga vita, ecc. E se il must del food fosse messo al centro dalla politica, anche per creare nuove opportunità occupazionali?
 
Non è da oggi, comunque, che Italia è sinonimo di eccellenza in cucina, a tavola, nei campi. Se non vogliamo risalire all'epoca classica (da Apicio a Lucullo il desco era un topos semanticamente affollato), nel Rinascimento i cuochi erano delle vere e proprie star, contese dalle corti europee e i palazzi aviti. E il cibo, forse più di oggi, tracciava la storia e la cultura dell'uomo, la sua identità, la memoria, l'appartenenza, l'epos, ecc. Niente di nuovo sotto il sole.

La scrittrice milanese Ketty Magni è a suo agio in quel periodo storico: donne e uomini di potere, cibi, cuochi colti nelle interfacce della Storia sono i protagonisti delle sue biografie: “Teodolinda. Il senso della meraviglia” (2009), “Adelaide. Imperatrice del lago” (2011), “Il cuoco del papa” (Cairo, 2013), “Arcimboldo, gustose passioni” (Cairo, 2015): successi con molte ristampe, mentre dà gli ultimi ritocchi al prossimo romanzo, sempre in tema storico-culinario, ma stavolta ambientato nell'Ottocento: uscirà a gennaio prossimo, ancora con l'editore Cairo.

Domanda: Come si mangiava nel Rinascimento?
Risposta: A quel tempo la cucina inizia a essere concepita come una vera e propria forma d’arte, e ben rappresenta lo spirito multiforme dell’epoca rinascimentale. Il cibo viene assimilato come nutrimento, ma dona anche un piacere puro. Sulle tavole dei nobili sfilano piatti di grande effetto scenografico.
Maestro Martino, cuoco alla corte sforzesca e poi a servizio del camerlengo, Ludovico Scarampi Mezzarota, soprannominato Cardinal Lucullo, per la magnificenza dei suoi banchetti, prepara “il pavone vestito con tutte le sue penne che cotto parrà vivo e butta il fuoco dal becco”.
Creazioni alimentari elaborate e realizzate per stupire i commensali.

D. C'era molta differenza fra la cucina dei ricchi e quella dei poveri?
R. I poveri mangiavano minestre di cavoli, e più in generale alimenti che si potevano conservare a lungo, come le castagne, denominate “pane dei poveri”, che permettevano di sfamarsi durante il rigore dell’inverno.
I cibi freschi erano considerati un lusso riservato a pochi. Persino frutti oggigiorno comuni, come le pere, una volta erano considerati privilegio per ricchi. Ed era meglio “non far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere”.

D. I grandi cuochi erano ingaggiati dalle corti europee e le case aristocratiche?
R. I grandi cuochi, che lavoravano a servizio dei nobili,  dovevano conoscere tutti i tipi di frutta e di erbe, e la stagionalità dei prodotti, ogni sorta di carne e di pesce.
Erano inoltre tenuti a una condotta morigerata, perché godevano di fiducia assoluta, in un periodo in cui gli avvelenamenti erano frequenti.
Bartolomeo Scappi, nel suo trattato di res gastronomica, suggerisce una perfetta pulizia al suo discepolo Giovanni, e gli raccomanda di essere servizievole e di anteporre l’onore del padrone di casa.
Poi, paragona il lavoro del cuoco a quello di un architetto “il quale dopo il suo giusto disegno, stabilisce un forte fondamento, e sopra quello dona al mondo utili e meravigliosi edifici. Il disegno del cuoco deve essere bello e di sicuro ordine, causato dall’esperienze”.

D. La gotta, malattia dei ricchi, era assai diffusa?
R. Sì, malattie come la gotta erano molto diffuse un tempo nelle corti principesche. Ne soffrì Francesco Sforza, Carlo V e Papa Giulio III.
I nobili spesso avevano un appetito smodato ed eccedevano nel cibarsi di carne. Le salse, a base di frutta e di mollica di pane, accompagnavano la carne e il pesce, e avevano il potere di correggere l’effetto nocivo dei cibi.
Tuttavia, i medici dell’epoca mettevano in guardia dall’uso smisurato di tali salse, che portavano ad alimentarsi con ingordigia.
Nelle lussuose corti rinascimentali, il parere dei medici veniva tenuto in grande considerazione, e i cuochi lavoravano a stretto contatto.

D. Cosa pensa dei programmi di cucina in tv a tutte le ore e delle gare di chef improvvisati?
R. Irrompono prepotentemente sullo schermo e alcuni di essi vengono condotti in modo discutibile.
L’apparire a ogni costo sembra prevalere al buonsenso e all’educazione. (Mio padre Carlo, pioniere della radio e della televisione, se fosse ancora in vita, mi suggerirebbe di cambiare canale).
Tuttavia, il potere mediatico della televisione influenza i gusti, i modi di dire degli italiani, e rappresenta un enorme veicolo pubblicitario.
Alle gare, preferisco i programmi culinari che insegnano a realizzare un piatto, che suggeriscono i trucchi del mestiere, e che rivelano curiosità gastronomiche.

D. E della cucina molecolare?
R. Pare che oggi non se ne riesca a fare a meno: nuove tecniche di cottura e di preparazione. Si può guardare avanti, senza dimenticare la tradizione della cucina, fatta di sapori veri.
A volte, meglio una semplice pasta, che un piatto troppo sofisticato.

D. Oltre a scrivere con impressionate realismo del Rinascimento, la vita nelle corti e le città d'Europa, le piace cucinare e adora mangiare?
R. Ho ereditato da mia nonna e da mia madre la passione culinaria e il senso dell’ospitalità. Passo dalla penna ai fornelli senza impedimenti. Gli unici intoppi  si verificano quando pretendo di scrivere e cucinare insieme,  per ottimizzare il tempo.
Cerco di scegliere gli ingredienti con cura, preferendo prodotti biologici e stagionali. Mi piace sperimentare, personalizzare le ricette, e riscoprire antichi sapori. Prediligo piatti semplici, leggeri e raffinati, profumati con erbe aromatiche. Per soddisfare la mia golosità, un buon dolce a fine pasto non deve mai mancare.

(la foto, inedita, ritrae la scrittrice, la prima a sinistra, e Massimo Bottura, al centro con le scarpe da tennis, al “Premio Italia a Tavola” del 2015).

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