Libri: a proposito del ‘Velo delle parole’ di Caroli, "anche se mi convincerai, non mi convincerai"


di VITTORIO POLITO - Domenica 23 luglio 2017 sono passato dalla casa editrice Levante e alle 9 risultava ‘chiusa’. Ho pensato non a male, ma ad eventi negativi (stava poco bene), positivi (fosse a mare). Ho chiamato al cellulare Gianni Cavalli e mi ha detto sono dentro perché non voglio ‘essere disturbato’, ma il mio eufemismo non rende l’idea del suo intercalare ed anche dell’accoglienza quasi ‘forzata’. Comunque mi ha fatto entrare e parcheggiare; solo allora ho scoperto che vi era un signore che mi ha presentato e che ha congedato quasi subito dicendo una quasi non verità (lui non dice bugie!), ossia che aveva un appuntamento con me. Al signore ha restituito una cartella, immagino un manoscritto, ha donato dei libri – che l’interlocutore non solo non aveva richiesto, ma forse non voleva - concludendo ‘ti ho segnato le parti che vanno riscritte e poi trovati un editore che si cimenti con la narrativa e amici come prima e più di prima’, si sono abbracciati e questa gentile e cortese creatura ha esclamato con un filo di voce: ‘I tuoi suggerimenti, Gianni, per me sono ‘Vangelo’. Con questa premessa è stato ufficializzato il mio rientro in casa Levante, dopo un periodo di ‘incomprensioni’ e pacate ‘riflessioni’. Gianni ha esordito: ‘voi scrittori volete scrivere, ma non volete leggere niente (eufemismo)’, per cui ho rinunciato a parlargli di un lavoro che vorrei pubblicare. Mi sono fatto dare in omaggio una copia del libro di Caroli ‘Il velo delle parole’, precisando che avevo letto la ‘sublime’ recensione’ di Cristallo - di solito l’editore generoso come pochi nel regalare libri, in questo caso mi pareva quasi che il suo sguardo dicesse “è sprecato per te” - per cui sarei subito corso a casa per iniziare “lo studio”.  A questo punto Gianni rivolto al sottoscritto ha sentenziato: “Anche se mi convincerai, non mi convincerai”. Mi sono fatto ripetere più volte la frase (eufemismo?), fin quando ho sentito “l’ha partorita Aristofane nel quinto secolo a. C.”. Memore della collana diretta da Francesco De Martino ‘Le Rane’, ho precisato che volevo acculturarmi su questo signore nato a Citatene. Gianni mi ha detto vai sul terzo tavolo ci sono tutti i 63 volumi pubblicati della collana e prendi il numero 20 (questa sua ‘prodigiosa’ memoria mi fa paura… perché entra in funzione solo per l’articolo libro) ed è cosi che ora sono a casa a ‘guardarmi’ un libretto di 600 pagine dal titolo “ARISTOPHANE: la langue, la scène, la citè” a cura di Pascal Thiercy e Michel Menu. Prima di andar via avevo detto posso scrivere qualcosa anch’io sul libro di Caroli? Risposta va bene, ma ‘ognuno faccia il mestiere che sa fare’… che ho scoperto essere un pensiero di Aristofane. Nel mio veloce apprendistato sul drammaturgo greco sono venuto a conoscenza che è sua: “Mai otterrai che il granchio cammini diritto” - frase abusata e adattata, secondo convenienza, dal nostro editore - e l’attualissima “Voce orrenda, alito cattivo e modi volgari: le caratteristiche di un politico popolare”. In televisione direbbero: stop alle telefonate, io dico stop alle ‘divagazioni’.

«Quante rose a nascondere un abisso». Con questo verso Umberto Saba - perché uno che all’anagrafe fa Umberto Poli, per fare il poeta diventa Saba e poi ci dona il famoso aforisma “La letteratura sta alla poesia, come la menzogna alla verità”? - chiude il breve componimento finale di ‘Preludi e fughe’: rose a coprire le laceranti angosce di un’identità irrimediabilmente scissa e il dissidio di un’anima tormentata e sospesa.

Se in poesia la parola è in grado di avvolgere e stemperare l’infelicità, sapientemente modulata dall’eufemismo, essa fiorisce negli ambiti più disparati della vita per profumarne gli aspetti meno graditi. Questo i Greci lo sapevano bene.

Menico Caroli autore del volume “Il velo delle parole. L’eufemismo nella lingua e nella storia dei Greci” - Collana Kleos diretta da Francesco De Martino, Levante editori Bari - è professore di greco presso l’Università di Foggia, oltre ad essere un affermato esperto nel campo delle interdizioni linguistiche. Nel 2003, l’editore Garzanti ha pubblicato il suo “Censori e censurati della radiotelevisione italiana”, un libro, con la prefazione di Aldo Grasso, in cui Caroli ricostruiva cinquant’anni di censure attraverso la lente del piccolo schermo. La “Gazzetta del Mezzogiorno”, a firma Gino Dato, pubblicò, all’uscita della pubblicazione, una lunga intervista all’autore, dalla quale emergeva come, anche nella storia della comunicazione moderna, l’eufemismo costituiva una sorta di panacea per la risoluzione di testi imbarazzanti e disperati. Vi sono state epoche in cui in televisione non era lecito dire ‘alcova’, ‘divorzio’, ‘verginità’ e neppure ‘membri del parlamento o amante’. In pubblicità l’olio era detto ‘puro’ e non ‘vergine’. La parola ‘coscia’ era consentita solo per il pollo, ‘cancro’ solo per il segno zodiacale. Questo nuovo libro Levante dimostra come le origini della censura linguistica moderna possano risalire fino alla storia della letteratura e del teatro greco, la cui tessitura è spesso attraversata dal filo rosso dell’eufemismo.

Pur trattandosi di un testo specialistico, il libro di Caroli ha una chiave di lettura che lo rende godibile anche ai non esperti, rivelando ad esempio l’origine greca di termini attualissimi. Plutarco di Cheronea afferma che, grazie all’eufemismo, i Greci velavano gli aspetti amari della realtà e della società. Gli Ateniesi, dice, «chiamavano le prostitute ‘compagne’, le tasse ‘contributi’, le guarnigioni ‘corpi di guardia’ e la prigione ‘casa’. Quanto il lessico contemporaneo possa riconoscersi nel decalogo di Plutarco dimostra l’attualità di termini comuni. La politica degli ultimi anni ci ha insegnato a chiamare ‘escort’ le prostitute d’alto bordo, e ‘case di rieducazione’ le prigioni più affollate. L’espressione ‘Orco can’, una sorta di litania nei dialoghi dei film di Totò, deriva da uno degli eufemismi preferiti da Socrate, che giurava sul cane anziché su Zeus. “Alzare il gomito” è eufemismo per ubriacarsi: deriva dal greco ‘maschalen airo’ e lo troviamo per la prima volta nelle commedie di Cratino, il rivale di Aristofane. Avendo letto su un volume di Menico Caroli “Cratino il Giovane e Ofelione. Poeti della Commedia di mezzo” pubblicato nel 2014, che l’autore ringraziava il prof. Francesco De Martino “per quanto ha saputo trasmettermi in questi anni” ed influenzato dall’incontro occasionale di uno scrittore lunedì 24 luglio che, senza mezzi termini, mi ha detto devo tutto “ai due sapienti Raffaele e Gianni Cavalli della Levante”, ho fatto un piccolo esame di coscienza per vedere se anch’io devo ringraziare qualcuno. La sera dello stesso lunedì ho chiamato l’editore Gianni e dopo poche parole - che non ritengo di dover rendere pubbliche - di “convenienza’ gli ho detto “mi fai felice se leggi il mio nuovo lavoro e mi dai il solito giudizio disinteressato”.  Ho inviato il testo per mail all’editore, il quale oggi 26 luglio mi ha risposto con un messaggio che riporto integralmente: “Carissimo Vittorio, tu hai pubblicato 4 libri con noi e un opuscolo: per cui questa sarebbe la quinta e non la sesta pubblicazione. Nelle condizioni in cui si trova ora il testo non lo pubblicherei, ma se hai la pazienza di aspettare 5 settimane ti indico le parti (al momento dodici) che vanno ‘curate, ampliate ed eliminate’. Livalca direbbe amico Vittorio la vera felicità deve ‘costare’ poco, qualora fosse ‘cara’ (in tutti i doppi sensi) non sarebbe un affare. Hai conquistato l’amicizia e la stima di tante persone: pensa a conservarla, non ad estenderla”.

Con un eufemismo si può dire che è un cortese rifiuto o un invito a desistere? Nel dubbio mi sono immerso nella difficile lettura (altro eufemismo?) di un volume di Menico Caroli dal titolo: ‘ Il titolo iniziale nel rotolo librario greco-egizio’, datato 2007. Ora non voglio fare sfoggio di cultura classica, ma vi assicuro che, quando si parla di Pompei, il libro diventa avvincente. Basta da solo il ricchissimo e interessantissimo apparato iconografico del libro a giustificarne il possesso, ma mi ha stupito vedere stampata la copia di un dipinto esistente in una casa di Pompei, in cui in primo piano vi è un giovane intento a leggere un papiro; per giunta vi è raffigurato un contenitore, colmo di papiri, che potrebbe passare per un lavoro di un designer dei nostri giorni.
Per concludere il ‘velo delle parole’ di Caroli, incentrato sull’eufemismo, può essere consultato e letto da chiunque per la chiarezza e semplicità di esposizione, che non altera, anzi aumenta, il valore scientifico dell’opera.

All’amico editore Gianni ricordo che, secondo Aristofane “pensieri elevati debbono avere un linguaggio elevato” per cui mi limito a testimoniargli “anche se mi convincerai, non mi convincerai”.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto