'La guerra nella Grecia antica', come oggi

di FRANCESCO GRECO - Il fuoco che devastò i palazzi micenei portò a cottura le tavolette di argilla cruda dove si annotavano le faccende dello Stato. Non solo, ma anche quanto bronzo servì in un dato periodo per approntare le punte delle frecce e dei giavellotti necessari alle guerre. Si ignora come i guerrieri venivano reclutati, pare però che quel popolo avesse una “cavalleria”.
 
“Dov’è la tua mirabile bellezza,/ o Dorica Corinto?...”. I popoli del mondo classico erano sempre in guerra. Essa era un mestiere e conteneva una semantica ricchissima, sconfinata. Sublimava le pulsioni più recondite dell’animo, ma era anche la proiezione della società con le relazioni, le dinamiche interne, le gerarchie, l’economia, il mito, l’etos e l’epos. Il condottiero, il genio militare, lo stratega, l’eroe, ambiva alla fama imperitura, e spesso la conquistava distinguendosi sul campo di battaglia per coraggio e astuzia, morendo giovane (la “bella morte”) e consegnandosi all’immortalità.

“La guerra nella Grecia antica”, a cura di Jean Pierre Vernant, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, pp. 356, euro 29,00 (curatela di Umberto Curi, che firma una bella prefazione, ottima traduzione di Ilaria Calini), è un’indagine a largo spettro della guerra nel mondo di Omero e Aristotele, Eschilo e Sofocle, che ci illudiamo di conoscere sol perché sappiamo chi è Sun-Tsu e von Clausewitz, ma che ogni approccio polisemico arricchisce il nostro sguardo di altre interfacce utili a capire anche le guerre di oggi in tutte le infinite declinazioni, incluse quelle i hacker, hashtag e troll, e con esse il mondo, la società, l’economia, l’uomo nella sua sedimentata complessità.
 
Il volume propone 13 piccoli saggi messi giù con intento divulgativo da altrettanti esperti della materia: Michel Lejeune, Francis Vian, Paul Corbin, Geoffrey S. Kirk, Marcel Detienne, Moses Immanuel, Finey, Pierre Vidal-Naquet, Jean Taillardat, Jacqueloine de Romilly, Claude Mossè, Pierre Ducrey, Yvon Garlan, Pierre Léveque.
 
Che incrociano reperti archeologici, tracce orali, linguistici, testimonianze mitologiche, letterarie, storiche (anche le canzono popolari, la sconfitta di Filippo V avanti a Flaminino cantata da Alceo di Messene) per poter giungere a conclusioni attendibili in materia, come dice lo stesso Vernant nella sapida introduzione, “di armi e tecniche di guerra, reclutamento, addestramento e comportamento dei combattenti, cornice spaziale e temporale della lotta, occasioni e motivi di conflitto, definizione del nemico, procedura di avvio e di abbandono delle ostilità, convalida della sconfitta e della vittoria”, ecc.

Vernant (1914-2007) ha conosciuto la guerra de visu, avendo fatto la Resistenza. E fino alla fine ha dispiegato una carriera accademica di grande intensità e impegno, abbandonando i dogmatismi  non appena essi tradivano le premesse, e i popoli.

Un saggio da leggere d’un fiato, se si vuol capire anche le guerre di oggi, immersi nella società “liquida” e virale. Inclusi i conflitti allegorici, che non lasciano tracce né morti sul terreno, ma che modificano l’uomo e la realtà a loro insaputa, forse i più crudeli.

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