I maestri di Giannella viaggiano con Dacia Maraini e Chiara di Assisi, sfiorando la ‘Preghiera’ di Faber

 


LIVALCA - Nel 1976  erano ormai due lustri che predicavo la superiorità dei testi e della musica delle canzoni  italiane, salvo qualche esigua eccezione,  rispetto  alla produzione che proveniva dall’estero, quando l’amico Oreste mi chiese se avessi  mai sentito una canzone di Fabrizio De Andrè dal titolo ‘Preghiera’.  Anni prima mi ero occupato della storia singolare del cantautore conosciuto come  Faber (  questo soprannome si  deve a Paolo Villaggio che, notata la passione smodata dell’amico per i pastelli colorati Faber-Castelli, coniò il diminutivo; quindi tutte le altre interpretazioni circolanti al riguardo  sono  senza fondamento)  a proposito del fatto che, se nella vita manca il ‘quid’, può essere difficile arrivare al successo anche se hai talento. Faber grande amico di Tenco, Paoli e Villaggio deve tutto a  Mina che incise ‘ La canzone di Marinella’ donandogli soldi e successo ( De Andrè nasce bene, economicamente e culturalmente parlando, e solo dopo questa ribalta capì che poteva trasformare una passione in professione).  Lo stesso Paoli Gino deve tutto a Mina che incise ‘Il cielo in una stanza’  grazie alle pressioni di Giulio Rapetti, il quale  aveva firmato la canzone per la Siae insieme a Renato Angiolini ( Paoli all’epoca non era iscritto).  Quando  dissi  ad Oreste che conoscevo la canzone  ‘Preghiera in gennaio’ che De Andrè dedicò a Luigi  Tenco - come tutti sanno  suicidatosi per l’esclusione  del suo brano dalla finale del  Sanremo  1967 -  le mie quotazioni che,  nel 1976 erano ferme ad esperto di politica e sport almeno a Roma,  si  estesero  anche al mondo della musica leggera. Fui invitato spesso nel 1976 ad incontri in cui si parlava anche di canzoni e colsi l’occasione per sottolineare che vi erano due enormi successi  nell’anno  ‘Margherita’ di Cocciante ( certo è nato a Saigon in Vietnam, ma il padre era italiano e il genio si trasmette…) e ‘Non si può morire dentro’ di Gianni Bella : due fantastici motivi  a ‘parto italiano’.  

Una sera di settembre del ‘76 in un noto locale ( il cui nome mi è oggi ancora ignoto) romano vi era  una festa dedicata al successo dell’anno di Iglesias  dal titolo ‘Se mi lasci non vale’ e il sottoscritto, timido e riservato come sempre, ascoltava in maniera apatica  quello che diceva il  presentatore ufficiale… «… il testo della canzone è del paroliere italiano di fiducia di Iglesias, Gianni Belfiore, e di un altro nostro eccellente cantautore….» vi furono secondi di imbarazzante silenzio finchè, in maniera strozzata, mi uscì un gemito «Luciano Rossi»,  giusto disse qualcuno dalla pista e tutti si voltarono verso di me ( rosso di sera, buon tempo si spera!) e mi sentii osservato e scrutato da mille sguardi.   Oreste con la consueta faccia di bronzo disse « Il mio amico Gianni è un esperto». Tra il pubblico vi era Alberto Moravia e la sua compagna, la  splendida Dacia Maraini, notizia che appresi  da vicini di posto.  Io non li vedevo perché erano alle mie spalle e la loro presenza fece dire a Oreste, sempre circondato da ragazze innamorate della sua esuberanza,  e forte di quella simpatica sfrontatezza che lo rendeva unico «… ma secondo te cosa possiede Moravia più del sottoscritto?».   Nel corso della serata qualcuno parlò di Fabrizio De Andrè e del fatto che i biglietti dei suoi concerti costassero cinquemilare  ( troppo per l’epoca?) e che aveva poco senso iniziare le esibizioni con canzoni come  ‘Via della povertà’; inoltre l’artista   aveva acquistato da poco una prestigiosa tenuta ( L’agnata ?) in Sardegna ecc. ecc. ( Pensate  tre anni dopo De Andrè fu rapito in Sardegna insieme a Dori Ghezzi e furono liberati, mesi dopo,  solo dopo un pagamento di una notevole somma).  Arrivò il momento in cui  si parlò del poeta De Andrè e del fatto che fosse ‘influenzato’ dal  noto cantautore francese Gerges Brassens, anzi ad un certo punto si diede per scontato che la canzone  ‘Preghiera in gennaio’, dedicata al suicidio di Tenco, fosse ispirata dall’artista francese.  Subito dissi all’amico Oreste « stanno sbagliando» e lui si alzò e pronunciò con ferma eleganza «… il mio amico Gianni  vi fornirà  notizie che evidentemente ignorate». Fortuna volle che san Livalca si ricordò di me per cui nel dire che Faber si era ispirato ad un noto poeta francese, Francis Jammes, riuscii a ricordare il titolo italiano della poesia  ‘Una preghiera per andare in paradiso con gli asini’.   Era il periodo storico in cui  chi preferiva togliersi la vita era considerato non degno di  ‘attenzione’, ma i miei ricordi, di quel magico  momento,  si fermano all’istante in cui  mi girai per ringraziare e incrociai dei magnifici occhi di un celeste chiaro che sorridevano approvando; non ricordo Moravia nei pressi, ma una donna minuta e molto femminile che mi ‘lanciava’ occhiate di compiacimento,  chiaramente nessuno potrà mai precisare se la signora si rivolgesse a me o a  coloro che mi circondavano, ma questo è un dettaglio che dura da 44 anni.  

Pensate che negli anni mi sono permesso, quando si parlava della Maraini,  una volta di affermare che avevo avuto modo di conoscerla, mentre sarebbe stato più giusto dire che l’avevo vista di persona.  Quella sera il mio amico Oreste cercò di ‘presentarmela’, ma, come tutti i ‘vip’, la coppia era andata via prima o…dopo ( VIP nel senso che entrambi gli scrittori  nati in famiglie in cui non vi erano problemi economici).

Nel 1997, vent’ anni dopo,  l’amico Francesco De Martino presentò ad  Acquaviva  un volume della Maraini dal titolo ‘Dolce per sé’ e io sperai nell’incontro tanto atteso.  Eravamo d’accordo e Francesco mi disse ti avviso il giorno prima e poi ti passo a prendere andiamo insieme; io  non gli spiegai tutto  l’antefatto  perché  lui è  interessato unicamente a  ciò che transita intorno la sua ‘orbita’.  Pure se gli avessi raccontato velocemente il mio ‘segreto’ mi avrebbe detto «…ricordamelo al momento opportuno… » ( ossia mai, questa è una mia benevola-malevola precisazione, maturata in anni di pura amicizia).  


Per farla breve De Martino un giorno mi portò una foto dell’incontro avvenuto con la Maraini e alle mie ‘enfatade’ rimostranze sentenziò « Non vieni per i tuoi libri, figuriamoci se venivi per me». Come spiegargli che era per la signora Dacia Maraini.  Con Francesco fui ‘enfadado’ ( Delio traduci al genitore !), ma il risultato era ‘descontado’. ( Nel 2005 nel volume di Vito Maurogiovanni ‘Come eravamo’, nella seconda parte da me curata inserii la foto di De Martino con la Maraini; la sedia  vuota fra i due, seduti al tavolo,  era la mia !).  Ultima  considerazione : il romanzo ‘Dolce per sé’ che lessi due volte all’epoca, ma che non ho più trovato in questi giorni fra i miei libri,  vedeva protagonista una signora di nome Vera ( ricordo il particolare ‘nata nell’anno del topo’ che ieri come oggi non so cosa sia o significhi),  forse la stessa Maraini, e il signor Edoardo, a mio avviso,  lo scrittore Alberto Moravia ( almeno questo dubbio gentilissima Dacia può togliermelo ?).

Domenica 23 agosto 2020 mentre  discutevo con il professore  Simonetti, sul sagrato della Basilica di San Nicola,  di Santa Chiara, ho dovuto dar fondo ai miei ricordi per tenere testa  al  maestro con 18 lustri archiviati, il quale mi  ha ravvivato fatti e situazioni che si erano persi nei miei ricordi. E’ bastato un attimo e nella mia memoria fotografica - intatta per il passato andato, refrattaria per il presente appena vissuto - è comparsa la scritta « Dacia Maraini sulle orme di Chiara di Assisi»  e velocemente mi sono ricordato del libro di  Salvatore Giannella ( giornalista conosciuto in tutto lo stivale ) «In viaggio con i Maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo».  Probabilmente mi sarò estraniato per un minuto scarso - cosa per me inusuale - e subito l’amico Antonio «…Gianni se hai da fare vai, noteremo meno la tua assenza» ha ‘ricamato’ la cifra statistica inerente il mio comportamento. 

Rientrato in sede ho trovato il libro inviatomi da Giannella ( con una dedica stupenda, ma non veritiera  «A Gianni, che insegna facendo finta di imparare») e mi sono precipitato a (ri)leggere -  lo avevo già fatto con documentata testimonianza due anni fa: messaggio a beneficio di coloro che possiedono due elle nel cognome - la breve e partecipata intervista alla scrittrice Maraini.  La bellissima signora Dacia nasce a Fiesole da una padre scrittore e antropologo Fosco e dalla pittrice Topazia Alliata, principessa di Villafranca Sicula, morta pochi anni fa dopo aver varcato il secolo di vita. Mi sono ricordato che tempo  fa mia sorella Irene regalò a mia figlia Madia  il volume della Maraini  “Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza” e ho ritrovato facilmente il libro nella biblioteca, mentre  la voce di mia moglie, sempre generosamente prodiga di consigli, sanciva «ti farebbe bene la lettura del testo»; pur di darle ragione mi sono immerso  immediatamente nelle pagine del racconto e ho scoperto tante cose su questa donna che da,  semplice collaboratrice  di san Francesco, è passata a fondare l’ordine delle monache clarisse  e  nel 1255 nella cattedrale di Anagni fu canonizzata come santa Chiara da papa Alessandro IV.

Leggere questo libro ti fa capire cosa significhi lottare lealmente e veramente per la libertà di scegliersi un destino  che altri hanno già scritto per te.   Sul coraggio potremmo trovarci in sintonia, sulla povertà  lascio la parola ai maestri «Chi non ha nulla viaggia sicuro» ( Ovidio), « La povertà rende audaci» (Orazio), « Non vi sia lode per la ricchezza e non vi sia biasimo per la povertà» (Apuleio); chi scrive ‘cavalca’ la corrente di pensiero che è frutto di ‘studio’ sul campo :  NON  può essere definito povero chi non ha niente, ma solo colui che non ha lavoro…il quale va anche cercato con la stessa determinazione che hanno avuto santa Chiara e san Francesco nel perseguire il loro percorso di vita.

Fino a ieri ero convinto che il libro più ‘sofferto’ della Maraini fosse « La lunga vita di Marianna Ucria» , premio Campiello 1990, ma ora, chiedendo scusa al bellissimo «Bagheria» e alla villa di Valguarnera,  propendo per questo piccolo capolavoro in cui  Chiara è prima donna e poi santa, non secondo il canone della Fratello e della sua Maddalena, ma di una disobbedienza civile e motivata.

Una sera del 2011 ad Ostuni, per tutelare l’amico scrittore Raffaele Nigro dall’assalto di chi riteneva che la sua vittoria al premio Campiello del 1987 era stata agevolata dal fatto che non gareggiava ‘nessuno’ in quell’anno,  fui costretto a precisare che offendevano gli scrittori, Ferrero, Morandini e Tadini che erano fra i finalisti. Poi esaltato dal fatto che tutti mi davano ragione mi sono allargato dicendo Raffaele ha aperto la strada alle donne perchè l’anno successivo ha vinto ( finalmente) una donna Rosetta Loy, poi Francesca Duranti e Dacia Maraini, di cui ho intessuto il solito panegirico.  Mi sono spinto oltre dicendo che dopo  la Maraini vi è stata una fenomenale  quaterna  con Isabella Bossi Fedrigotti.  Ha questo punto una signora, colta, gradevolissima  ( Angela Iacoviello mi spiegò poi che questa poetessa mi avevo consegnato l’anno prima delle sue poesie, a cui probabilmente non avevo risposto perché non vi era l’indirizzo : io rispondo a tutti sempre !) e ‘accalorata’ nei miei riguardi mi fece notare che avevo sbagliato due volte con finalmente e quaterna.

Aveva ragione :  Gianna Manzini nel ’70 ( ’71 ?) era stata la prima donna a vincere il Campiello e, nonostante, fossi il solo a sapere che avesse  trionfato  con il libro «Ritratto in piedi» ( da me recensito)  fui costretto a sopportare un commento sul fatto che avessi  definito la ex compagna di Moravia ‘donna splendida e dagli occhi  incredibilmente limpidi, chiari e cristallini’.

Salvatore carissimo, mia figlia Madia - questa volta ho portato la copia bis a casa, visto che il mio tavolo ha scarse difese ‘immunitarie’ - mi ha  pregato di chiederti come mai su 68 personaggi le donne siano solo nove ? 

Il ritratto digitale di Fabrizio De André è una creazione di Giacono Giannella/Streamcolors

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