Quel 'solco ancora fresco' di Rocco Coronese


FRANCESCO GRECO
- Un “solco ancora fresco”, ma anche profondo nella sua ricca semantica, l’affascinante dialettica. Importante per l’immaginario delle generazioni future.

Lo ha lasciato nell’arte italiana e nel territorio di nascita, Terra d’Otranto, l’artista Rocco Coronese, genio poliedrico (grafica, pittura, scultura), che lasciava questo mondo all’improvviso, a 71 anni, vent’anni fa (Parabita, 1931 – Ferentino, 2002).

E che la sua città commemora con una serie di eventi (sino al 5 agosto) di estremo spessore culturale (e altre ne verranno in settembre ideate dall’artista Marcello Seclì).

Se la portava nei cromosomi, Parabita (Lecce), i vicoli, i campi arsi, le voci della gente, le ombre in agguato. Ci tornava spesso pur vivendo l0ntano (Roma, Ferentino in Ciociaria, etc.): aveva un rapporto naturale, empatico con la sua gente laboriosa e generosa, il suo pathos antico (è la città delle Veneri, le donne morbide e prolifiche del Mediterraneo), anche perché “la sua idea di arte mirava all’inclusività e alla costruzione di relazioni” (Cristina Coronese), e in questo Rocco era unico, emerge dalla memoria e l’affabulazione popolare.

La sorella Mimina ricorda le tavolate di artisti amici di Rocco nella casa avita, i pranzi e le cene che preparava a base di verdure spontanee e pezzetti di cavallo, per ben figurare: “nomi” che oggi sono nelle antologie. Uomo generoso e istintivo, alcuni Rocco li aiutava a vendere le loro opere, trascurando le proprie. Capisce, per dire, le grandi potenzialità del salentino Ezechiele Leandro maltrattato dalla critica e lo aiuta.

Il Comune ha dedicato al maestro una bella piazza (ora Largo Coronese), mentre la famiglia, la moglie Miria Lembo e la figlia Cristina, hanno donato un’opera monumentale collocata in un’altra piazza e scoperta in una serata emozionante.

Occasione preziosa per una ricognizione complessiva sull’artista (collocato in un minimalismo declinato fra astrattismo e modulare), un personaggio multiforme e per certi aspetti unico: docente appassionato e responsabile, accademico, collezionista, etc.

Contestualizzato nel Salento contadino, poi nella Roma degli anni ‘60-’70, quando l’arte, intrecciata dialetticamente sulle avanguardie (si pensi a quella russa) e le loro performance provocatorie, rivoluzionarie, era vissuta non solo in chiave etica ed estetica, ma anche come uno strumento politico e maieutico che avrebbe cambiato il mondo, l’uomo, la Storia. Non è andata così, e sarebbe ozioso dire perché, ma questi uomini almeno ci hanno provato.

Coronese va a vivere a via del Vantaggio: “Quando l’ho conosciuto – la voce di Miria si incrina nel condividere il ricordo – viveva in una stanza piena di opere ben ordinate…”.


Incontra il sindaco (e critico d’arte) di Roma Giulio Carlo Argan, che lo apprezza molto, lo fa collaborare col Comune. Ma l’artista lavora anche con i Ministeri, la Rai, associazioni di categoria, etc.

Si sposano, nasce Cristina (che con la famiglia oggi vive a Berlino) vanno a vivere a via delle Coppelle. Si commuove anche la figlia: “Sono cresciuta giocando sul pavimento della nostra casa, era il tavolo da lavoro dove papà costruiva le sue opere… Giocavo con i suoi attrezzi, mi coinvolgeva… Quando andavamo per la strada raccoglieva ogni sorta di materiale, cercava la forma e l’oggetto, già immaginava l’opera che aveva in mente e che sarebbe nata…”.

La sua casa nel centro storico dell’Urbe è un “salotto” frequentato da giornalisti, scrittori, critici, la cultura dell’epoca. Berenice parla delle sue tecniche sperimentali su “Paese Sera”. Nel 1972 una mostra a Palazzo Braschi lo consacra come una delle voci più originali dell’arte italiana.

Poi Frosinone, il maestro diventa insegnante e poi direttore dell’Accademia di Belle Arti: “Lavorò con entusiasmo e passione… Fu un docente eccezionale – ricostruisce la direttrice di oggi Loredana Rea – sapeva indicare la strada ai suoi studenti, tanti sono diventati grandi…”. Insegnò anche all’Accademia di Belle Arti leccese.

La scansione critica dell’artista è stata ripercorsa da Lorenzo Madaro, curatore, critico d’arte e docente all’Accademia di Belle Arti leccese: “Coronese ha dato il suo contributo alla rinascita della scultura”.

L’evento ha messo insieme per la commemorazione ben venti loghi di realtà associative territoriali (dall’Istituto d’Arte “IISS Giannelli” agli anziani ai bambini che prossimamente indosseranno magliette con la serigrafia di un’opera di Coronese) che facendo rete hanno contribuito al calendario messo su in memoria di un grande (incluso il rilancio del museo dei manifesti del cinema, altra idea del vulcanico artista). Una volta tanto un propheta in patria. Una “patria”, Parabita, ricca di talenti: citiamo a memoria Franco Gelli, Rocco Cataldi, etc.

Il sindaco Stefano Prete (“Coronese arricchisce la nostra città… Cercheremo di esserne all’altezza”) con Francesca Leopizzi, appassionata assessore alla Cultura. E poi EdilGeos srl costruzioni di Roberto Leopizzi, che ha donato il basamento dell’opera, l’architetto Sergio Tarantino, il prof. Cosimo Preite (“IISS Giannelli”), l’infaticabile Carola Gatto e tante altre persone che si stanno spendendo per Coronese.

Una città ricca di arte e di Storia (si pensi, ripetiamo, alle Veneri emerse dalla preistoria) si è dunque riappropriata del “suo” artista. Vogliamo leggerlo come un bel segno per un futuro meno angoscioso dell’oggi? Ma si, tanto che ci costa?

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