GENIUS LOCI. Erudito e gentiluomo, Attilio Biasco da Presicce

di FRANCESCO GRECO. PRESICCE (Le) – Erudito e gentiluomo. “Un gigante col cuore da bambino”. Diploma di geometra (al “Costa“ di Lecce), laurea in Scienze Agrarie a Portici (Napoli, luglio 1906) con i Maestri Orazio Comes e Luigi Savastano. “Spesso giovò bruciar lo steril campo”, (Virgilio, “Georgiche”). Genio totale, un dei più alti e nobili che il Sud abbia dato al mondo: un Leonardo declinato al “verde”, nato dalla terra, all'ombra degli ulivi, tra i filari della vite, del tabacco, gli asparagi, il cotone, i mandorli.

Uomo d'altri tempi, capace di rifiutare il regalo degli agrari: un pezzo di terra delle zone paludose che bonificava (1949) da Brindisi a Taranto e Lecce, da Gallipoli all'Arneo, fino al “Tallone”: Ugento, Otranto “per combattere il grave fenomeno della disoccupazione”. “Datele ai contadini – sorrideva - ne hanno più bisogno di me...”. Di offrire preziosi consigli su cultivar e trattamenti a costo zero. Erede di Pitagora, filosofava che la conoscenza è per gli altri, per la propria comunità, più che per se stessi.

“E dar le stoppie a crepitanti fiamme”, (Virgilio). A Lecce Attilio Biasco ha una via intitolata, un'altra a Presicce. Vi nacque il 27 giugno 1882, da Vincenzo e Addolorata, ci tornò per farsi seppellire il 4 giugno 1959. Le sue pubblicazioni sono negli archivi della FAO: sembrano scritte oggi, al tempo della xylella e del km zero.

Genius loci “visionario”, intuizioni folgoranti, in anticipo sui tempi: dal 1925 al 1932 condusse la “battaglia del grano”: portò la produzione da 9,5 a 32 quintali per Ha. Capì che occorreva portare l'acqua alla terra (1948) scavando i pozzi perché la falda era sotto i piedi (l'aveva capito 20 secoli prima Strabone), senza i poetici rabdomanti.

Introdusse le macchine sui campi per l'aratura (nel 1927-1928), combattè le malattie degli alberi: la “brusca” di albicocchi e mandorli, la fillossera della vite: anche a quel tempo c'era la concorrenza del vino “artefatto”, introdusse cultivar, scoprì nuove piante officinali e aromatiche, teorizzò l'importanza di azotare il terreno con la farina di lupini, nel 1958 cercò di reintrodurre il cotone.
Fece sua la lezione di Gioacchino Murat che nel 1815 aveva dato dei ”trogloditi” ai contadini meridionali, poi ripresa da Mussolini (“le ricche Puglie”). “Sia che così la terra occulte forze”, Virgilio. La sua azione illuminata spinse Terra d'Otranto (Lecce, Brindisi, Taranto, Matera) e il Mezzogiorno nei tempi moderni, in un'Italia essenzialmente contadina dove la terra era sopravvivenza.

Nel 1909 divenne reggente della cattedra ambulante di agricoltura nel Capo di Leuca, fino al 1915, quando fu prof. di ruolo di Estimo rurale e agrario al “Costa”. Nel 1937 ispettore provinciale dell'Agricoltura.

Era partito da Presicce, città dei frantoi e dell'olio, uscita dal feudalesimo sparando una schioppettata al nobile affacciato al balcone a guardare la sfilata delle maschere di Carnevale. Un giovane contadino sangue caldo, che aveva solo la terra delle dita, aveva appena sposato la bella del paese e non voleva sottostare allo jus primae noctis. Si mascherò e sparò a chi si credeva padrone della terra, del cielo, dell'acqua, della vita degli altri e della virtù delle loro femmine. Da allora gli abitanti furono chiamati “mascarani” (mascherati).

“E alimento novel da ciò ritragga”, Virgilio. Su Biasco era caduto il velo dell'oblio, ma l'associazione culturale “Prospettive” nella rassegna “Raccontami una storia” lo ha squarciato e la città, le nuove generazioni, si sono riappropriate di una figura polisemicamente ricca, vincente anche sotto l'aspetto pedagogico oggi che maestri non ce ne sono più e quelli rimasti sono spesso cattivi.

Nell'incantevole location dell'Orto Botanico di “Casa Turrita” (XVI secolo), la figura dell'agronomo è stata scansionata dai giornalisti Giancarlo Colella e Vito Stendardo, da Rosario Centonze (presidente Ordine Agronomi di Lecce), Massimo Alberizzi (giù inviato esteri “Corriere della Sera”, oggi direttore di www.africaexpress.it), gli agronomi Giancarlo Biasco (nipote) e Antonio Bruno, consigliere nazionale dell'Adaf.

Non fu un genio solitario ma un “uomo di squadra”. Per Rina Comes “era semplice, affezionato, e si faceva voler bene.” Altruista, a Portici aiutava gli allievi a preparare gli esami. Eclettico, curioso, era un grande osservatore, passava disinvolto da un ramo all'altro del sapere. Intuì, per dire, l'importanza dell'emocromo e battezzò come “leccese” una specie di gallina. Speculò sulla differenza fra cellina saracena e ogliarola, teorizzando una diversa coltivazione e concimazione, insegnò ai contadini l'importanza del sesto (la distanza) fra le piante: più luce più produzione. Capì che l'olio si poteva esportare. Censì le specie di fichi, studiò le querce vallonee. Incrementò la resa per Ha coltivato a grano, in un tempo in cui la fame era la condizione naturale e la terra non doveva soddisfare nicchie di golosi come oggi, ma folle sconfinate.

Pubblicò regolarmente il periodico “L'Agricoltura Salentina”. Fu avido di conoscenza, “dentro aveva un demone che doveva essere soddisfatto”. Candidato al Senato, collegio Gallipoli-Galatina, nel 1948, arrivò secondo. Cavaliere del Lavoro nel 1931, commendatore della Repubblica nel 1948.

Mite, onesto, quando i nipoti si affacciavano, domenica pomeriggio, nello studio, li accoglieva con un sorriso. Ora tocca ai posteri avvicinarsi alla ricchezza del suo pensiero e scagliarne la vasta ontologia nel XXI secolo corrotto dalla chimica, la xylella e tutti i virus evocati da apprendisti stregoni, i “cartelli” delle multinazionali che attentano al valore antico della biodiversità.

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