Occidente: se il 'tramonto' è un nuovo inizio

di FRANCESCO GRECO - “Capire il mondo per me significa essere all'altezza del mondo. Della vita è essenziale la durezza...”. Diciamolo: ci sono opere, e scrittori, più citati che letti. Pochi possono dire di essere arrivati all'ultima pagina del “Nome della rosa” come del monumentale “Orcynus Orca” di Stefano D'Arrigo.

E quanti possono vantarsi di essersi addentrati nei meandri più segreti dell'opera di Proust?  “Il tramonto dell'Occidente” (Lineamenti di una morfologia della storia universale, prima parte “Forma e realtà”), di Oswald Splenger (1880-1936), Nino Aragno Editore, Torino 2017, pp. 677, euro 40,00 (a cura di Giuseppe Raciti), è una di queste.
 
E' stata letta da destra come il ripristino dei valori della tradizione, e da sinistra, che ci ha visto i toni apocalittici, millenaristici del declino irreversibile.

Vero è che la traduzione di Julius Evola (1957) è stata una diminutio soffocante, per quella che in realtà è una “visione” messa giù quasi in trance, come sotto dettatura, in stato di grazia dal filosofo tedesco, essenziale nello stile pregno e nudo, denso però di allegorie trasparenti, ma ancor di più carsiche.
 
Pensato prima della Grande Guerra, il “tramonto” uscì alla sua fine, mentre già se ne incubava un'altra e sulloo sfondo appariva il socialismo incarnato in una speranza degna di maieutica.
 
Dov'è allora la forza del “tramonto”? Più che nel legittimare “la nostra inconsistenza culturale e politica”, nei suoi infiniti livelli temporali, nei giochi e i rimandi interculturali, contaminazioni della parola e del senso che scorrono separati, s'intrecciano, si riseparano, in un divertissment di grande seduzione estetica e intellettuale, che confina in un silenzio calcinato il lettore d'ogni tempo appena prende atto che “ogni moto propulsivo, ogni contesa / nel Dio sovrano è quiete” (Goethe).     
 
Spengler fa coincidere il tramonto dell'Occidente visto come centro della civiltà, con la nebulizzazione di quella che lo ha ispirato e che lo regge nei suoi archetipi fondanti: quella classica. Intravede la ciclicità degli accadimenti e dei personaggi della storia.
 
Meglio sarebbe però leggere il “tramonto” con lo sguardo nuovo, ripulito da ogni sedimentazione e speculazione, come se fosse stato appena scritto. Se ne ammirebebbe quel suo afflato immortale che Spengler – che riconosce in Goethe per il “metodo” e in Nietsche per “l'impostazione delle questioni” i suoi credits - vi ha infuso, oltre che echi, illuminazioni, urla di estrema attualità.


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