"Don Tonino? Io lo conoscevo bene…". Parla don Gigi Ciardo, parroco di Alessano

di FRANCESCO GRECO - “Don Tonino? E’ stato il mio maestro. Lo conoscevo da prima che diventasse sacerdote. Sono stato suo chierichetto, poi, in Seminario, a Ugento, per quattro anni, fu il mio insegnante di Italiano, Matematica, Latino e Greco. Sono cresciuto con lui, sono un suo discepolo. Un rapporto intenso, personalizzato, come era nel suo modo di fare. Nel 1975 lui era parroco a Tricase e io qui, ad Alessano. Gli fui vicino nel settembre ’82, quando fu nominato Vescovo. Ogni volta che tornava era un dono, per me e per tutta la gente del paese…”.
 
Ora che l'evento del 20 aprile 2018 è uscito dalla cronaca per entrare nelle pagine di Storia, don Tonino Bello rivive nelle parole e nei ricordi di don Gigi Ciardo, parroco di Alessano, la persona che forse lo conosceva meglio di tutti.
 
Ne parla commosso, misura le parole una a una, come se facesse lo spelling, sceglie solo quelle necessarie. Non c’è sacerdote più operativo: “legge” i segni nel territorio e nell’animo della gente e si mette al lavoro, punta deciso all’obiettivo.

Sa motivare, non teme ostacoli, relativismi. Gran diplomatico, piccolo Richelieu. Al paese ha dato una casa di riposo, un centro di aggregazione giovanile, un altro per accogliere i migranti e tante opere “minori”. Stessa frontiera del suo “maestro”, di cui ha ottimizzato gli insegnamenti: gli “ultimi”, militante della “Chiesa del grembiule”, “ospedale da campo”, “etica del volto”.
 
Il post-evento è un momento topico per una città dal passato magnifico, da protagonista, piccola “capitale” del Capo di Leuca: borghesia vivace, intellettuali fecondi, professionisti geniali, imprenditori illuminati. Che ora ha un’altra opportunità per rinascere. E poi per il Salento, la Puglia, il Sud smarrito, quasi in estinzione. Andato via Papa Francesco, si respira l’aria dolce e quieta dell’attesa, delle grandi occasioni, tutti ne sono coscienti.

E dunque, don Gigi vs don Tonino Bello: Goethe direbbe affinità elettive. Che, in parallelo, si sono intrecciate, hanno fatto sistema in quasi mezzo secolo sotto l’aspetto pastorale e umano, in perfetta osmosi, un sodalizio fertile, segni profondi.

Don Gigi gli è stato vicino sino all’ultimo, presenza discreta, viva: una citazione del “Cristo deposto dalla Croce” del Mantegna.
 
In questa intervista formatta leggende metropolitane sorte in 25 anni (che ha in animo di raccontare) e svela particolari inediti sugli ultimi giorni del Vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia, Terlizzi e Giovinazzo (Alessano, 18 marzo 1935 – Molfetta, 20 aprile 1993), facendoci entrare in quella stanza spartana dove il moribondo ha un sorriso e una parola viva per tutti, pregna di speranza e di futuro, per chi vi s’approssimava ricacciando il pianto.
 
La Chiesa Collegiata SS. Salvatore mette soggezione per la maestosità slanciata verso il cielo blu cobalto come una preghiera accorata, disperata, che rivela un passato di grandezza, di splendore, potere: fino all'800 fu sede vescovile (Alexanensis- Leucandesis, ad Alessano c'è chi ha nostalgia e vorrebbe ripristinarla). Certe cose restano nel dna, il tempo non cancella la nobiltà.
 
E’ una bellissima giornata di primavera, don Gigi mi aspetta, la sagrestia è grande, invasa di luce fresca. Ha poco tempo da dedicarmi: da Botrugno sta arrivando una corriera di pellegrini cui farà da “cicerone” al Cimitero. Mi dona un numero speciale della rivista in cui parla chi ha conosciuto don Tonino.

Si ammalò di tumore allo stomaco, luglio ’91, subì un intervento chirurgico (il bisturi di Luigi De Blasi, coadiuvato da un’équipe venuta da Bari) il 3 settembre, al “Daniele-Romasi” di Gagliano.
 
Saliamo sul Calvario, ma l’aria non è mesta, semmai escatologica: in questi giorni hanno detto che il sepolcro è vivo, che don Tonino è fra di noi. 

DOMANDA: Perché proprio quell’ospedale?
R. “Volle operarsi come i nostri poveri, quelli che non possono permettersi un viaggio della speranza. Fece la convalescenza in paese, poi a ottobre tornò a Molfetta. La sua situazione era complicata, lui lo sapeva: era un uomo di grande realismo, e tuttavia riprese in pieno la sua missione”.
D. Poi il “male” si riaffacciò?
R. “Dopo l’intervento non fece la chemioterapia, ma a settembre ’92 il male si ripresentò. Fece la chemio. Veniva a riposare qui al suo paese”.
D. Nonostante tutto, a dicembre ’92 era a Sarajevo, sotto le bombe…
R. “Partì da Ancona alla testa di 500 pacifisti, arrivò e disse: Quello che non voleva fare l’ONU dei ricchi lo fa l’ONU dei poveri. Ci fu una cena cui parteciparono persone di ogni nazione, credo religioso, razza: la convivialità delle differenze. La notte dormì in una palestra”.
D. Uomo instancabile, generoso…
R. “Da presidente di Pax Christi, il primo gennaio ’93 a Molfetta guidò la Marcia della Pace. Da Alessano intervenne un folto gruppo”.
D. Il “dies natalis” si avvicinava?
R. “Sempre a gennaio, accompagnato dai fratelli Marcello e Trifone, fece un consulto a Parigi. Tornò e al Policlinico Gemelli a Roma dissero che la situazione era precaria…”.
D. Veniva spesso ad Alessano?
R. “A due appuntamenti non mancava mai: l’ultima domenica di luglio, festa di San Trifone, protettore, dove celebrava l’Eucarestia e lasciava un messaggio adeguato ai tempi e poi il pellegrinaggio la notte della Madonna Assunta con la comunità di Alessano e dintorni: celebrava sul piazzale della Basilica di Leuca, troppo piccola per contenere la folla.
Fino a novembre ’92 tornava a riposare e celebrare in Chiesa Madre, finché le forze glielo hanno permesso”.
D. Lo dicono un uomo pudico, timido, carismatico…
R. “Con i famigliari non parlava mai della malattia. Quando si aggravò, a Molfetta pensarono che avrebbe finito qui i suoi giorni. Stava male, concelebravamo a casa sua… Andavo a trovarlo 2-3 volte a settimana e gli raccontavo di quel che mi aveva insegnato, come uomo e cristiano.
Il 14 febbraio volle tornare a Molfetta. Don Tommaso Tridente trovò una persona che lo accudisse, guarda caso, era originaria di Alessano: Suor Piera Ferraro, discreta, disponibile…
Il Giovedì Santo gli dissi: Ci vorrebbe un miracolo. Lui capì e rispose che aveva un desiderio: morire a Molfetta, essere sepolto ad Alessano…
Quando il Signore mi chiamerà, portatemi ad Alessano, disse… Un Vescovo è un padre che deve stare tra i suoi figli sino alla fine, tornare alle radici, in mezzo alla gente… La stesse parole le ripeté a don Luca Murolo, a don Salvatore Palese e ad altri… Aveva dolori fortissimi, chiese che gli portassi Gesù. Era sereno”.
D. Il suo popolo gli fu vicino sino all’ultimo… 
R. “Lo disse chiaramente: voleva che tutti, proprio tutti, giovani, vecchi, ragazze, madri di famiglia, sacerdoti, seminaristi, potessero entrare nella sua stanza. Così fu fino all’ultimo giorno: un viavai di gente. Personalizzava il rapporto con ogni individuo”.
D. Cosa accadde il 18 marzo, suo 58mo compleanno?
R. “L’atrio dell’Episcopio era stracolmo di ragazzi che cantavano Freedom. Lui implorò: Fatemi salire, fatemi uscire… Volle un megafono, lo portammo alla finestra: Se Dio mi darà vita – disse - non vorrò essere davanti a voi o dietro di voi, ma in mezzo a voi. Un momento commuovente, drammatico…”.
D. Ma l’addio era prossimo, 20 aprile 1993…
R. “Nella stanza c’ero io, i fratelli, i famigliari. Alle 13 e 30 gli parlai per l’ultima volta. Alle 15 e 27 si addormentò serenamente, per sempre…”.

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