A fest d’à Madonn, Mons. Pino Paolillo (intervista): «La Festa patronale è fare festa, riconoscendo nei Santi patroni un prezioso riferimento alle origini»

 di NICOLA RICCHITELLI – Dopo la testimonianza di Raffaele Dipietro dell’associazione “Barlett e Avest”, in una sorte di passeggiata immaginaria raggiungiamo quest’oggi la periferia di Barletta, fino ad arrivare nella zona Patalini, e poi diritti fini alla parrocchia del Ss.Crocifisso di Barletta dove ad accoglierci troviamo Mons.Pino Paolillo, Don Pino - come egli ama farsi chiamare - per la sua gente.
 
Don Pino è nato a Barletta nel 1953. E’ stato ordinato sacerdote il 17 dicembre 1977. Vicario episcopale di Barletta, nel 2000 è stato confermato in tale incarico. Parroco del Buon Pastore, fino al 31 agosto 2004. In data 1 settembre 2004 è riconfermato Rettore della Basilica Concattedrale S. Maria Maggiore in Barletta e nominato Parroco di S. Andrea e di S. Maria della Vittoria, assistente spirituale della FUCI della Città di Barletta, Rettore e Cappellano delle Monache Benedettine Celestine, Padre Spirituale dell’Arciconfraternita del SS. Sacramento in San Pietro in Barletta. E’ componente del Capitolo Cattedrale di Barletta. Insegna religione nel Liceo Scientifico Statale.

Dal 1 settembre 2017 è il nuovo Parroco della Parrocchia Santissimo Crocifisso in Barletta. Ha iniziato ufficialmente il suo servizio nel nuovo incarico con la celebrazione che si è svolta sabato 9 settembre, in Parrocchia, presieduta da Mons. Giuseppe Pavone, Amministratore Diocesano.

Don Pino, ancora qualche giorno e Barletta festeggerà i Santi Patroni. Che significato assume questo momento per la comunità barlettana?
R:«Nella storia dei barlettani un'identità mariana innegabile. Torno con la mia memoria all'8 maggio 2009. In una piazza Moro straordinariamente traboccante di popolo, in una indimenticabile serata, Monsignor Giovan Battista Pichierri, nostro arcivescovo di venerata memoria, facendo seguito ad una deliberazione del Consiglio Comunale del 28 aprile 2009 approvata all'unanimità, constatata la perenne devozione mariana del popolo barlettano, dichiarava Barletta CIVITAS MARIAE, città di Maria. L'arcivescovo si esprimeva con il verbo "confermiamo" attribuendo alla comunità ecclesiale di Barletta titolo e dignità di una speciale appartenenza a Maria. Addirittura posso risalire a molti anni prima, quando appena fanciullo partecipai alla solenne incoronazione della veneratissima icona di Maria SS. dello Sterpeto. Ricordo molto poco, ovviamente. Monsignor Pichierri nel decreto così si esprime: "il culto mariano, a partire da queste radici, si orienta come connotato proprio dell'identità dei barlettani che da sempre riconoscono nella madre di Gesù la speciale avvocata di grazie e costante riferimento per la loro vita civile e cristiana. La venerazione della Vergine, infatti, accompagna non solo la vita religiosa, ma anche la dimensione comunitaria e civile di Barletta" (dal decreto)».

Il barlettano sente ancora oggi di vivere la Festa della Madonna, o meglio rappresenta ancora un momento di festa per la nostra città?
R:«La festa dei Santi Patroni evidenzia fragilità e problematiche della nostra Barletta di oggi. Non è più una comunità cittadina coesa, con una sua identità condivisa che si ritrova in tradizioni e consuetudini. Lo sviluppo urbanistico voluto ha diluito 95.000 abitanti in un territorio immenso. Le distanze si sono fatte notevoli. Per noi di Patalini andare in centro è un problema: è lontano. E il centro si è svuotato: un angosciante ripetersi di si loca, affittasi, vendesi... e abbiamo dato le spalle al mare. Questo debilita molto il senso di appartenenza ad una comunità e di conseguenza le manifestazioni di questa identità, come le feste patronali. Ho un lunedì libero perché c'è la festa della Madonna? Me ne vado. Pure il devoto che immancabilmente si è fatto tutto il mese di maggio, magari alle 6:00 di mattina, parte, avendone la possibilità. Diventa patetico chi dichiara di fuggire la confusione. Ma quale confusione ne deriva in via Paolo Ricci? O via delle Belle Arti? O in via Frezza a 50 metri dalla 16bis? Dicono che le feste patronali dovrebbero recuperare una loro genuina autenticità. Ma noi non abbiamo mai avuto problemi come un'eventuale asta per portare i Santi o altre espressioni paganeggianti, inchini a questo o a quel personaggio, raccolte di offerte durante la processione. Mai visto ciò. La nostra è un'espressione genuina e vera di pietà popolare, una ricchezza inestimabile per la nostra comunità. Credo si possa parlare di vera religione del cuore, adesione autentica alla vita vissuta secondo i Vangeli. Non abbiamo particolari esigenze di rivedere manifestazioni non consone ad un'autentica religiosità. Festa patronale è fare festa riconoscendo nei Santi Patroni un prezioso riferimento alle origini e ad un cammino di crescita. Non perdiamo la capacità di fare festa. Riteniamo che ridere si essere felici, ma il poeta Salviano, V sec., mentre l'Impero Romano si andava disfacendo, diceva: "Moritur et ridet"».

Come viveva da piccolo questo particolare momento?
R:«Per me piccolo la festa patronale era fortemente attesa e desiderata. Per tante situazioni che affascinavano: la processione, i fuochi, le luminarie, le giostre... una festa collettiva che ti prendeva dentro. Ma io ero lì, vivevo in corso Vittorio Emanuele. Guardavo tanta gente in giro con l'abito da festa. Non è che mi capitasse tutti i giorni di mangiare pastarelle, focaccia e panzerotto. La festa mi permetteva questo e la sentivano tutti. Ricordo affascinato le orchestre, le varie bande famose che si alternavano e mi chiedevo perplesso perché facessero concerti di musica classica di domenica mattina per pochi appassionati, e anche allora si andava al mare. Cioè, ci tenevano tanto. Soldi sprecati? Ma certo no! Ma una genuina capacità di fare festa e uno spontaneo raccogliersi di popolo».

C’è un momento particolare o un particolare ricordo legato alla festa che si porta dentro?
R:«Ne ricordo diversi. Ma in modo particolare la presenza di tantissima gente e dei forestieri. L'orgoglio di sentirsi barlettani. Lo sentivi a pelle. La città non voleva fare brutta figura. Non poteva mancare il cantante famoso, credo il lunedì e dopo il concerto l'ennesimo fuoco artificiale. Ricordo le gare tra fuochisti, addirittura. Una festa, della comunità, della comunione tra di noi. La gioia di stare insieme e di farlo guardando con amore Lei, la regina dei nostri cuori, la donna del sì a Dio, la vera donna di una vita donata per amore. La festa diceva una religiosità sincera e condivisa».

Per tanti anni è stato parroco della chiesa di San Andrea, Chiesa situata nel cuore del vecchio quartiere marinaro di Santa Maria, un quartiere che tra l’altro da sempre ha avuto un rapporto particolare con la Madonna dello Sterpeto…
R:«Si avverte ancora un forte sentimento di appartenenza e di vera identificazione con la Madonna. La si sente proprio. Ma questa consapevolezza così evidente però non riesce più ad esprimersi con il vigore di un tempo. Gli abitanti del quartiere storico, quelli che sono rimasti, vivono in condizioni ambientali difficili. Quelli che possono vanno via: non si può vivere nel centro storico. Sono testimone di situazioni incredibili, e per i tanti locali pubblici e per i loro avventori. E quando ci sono i concerti, e spesso rock duro, persino le abitazioni tremano. Dicono che si favorisce il turismo. La cronaca nazionale dice il contrario: il turista va via se non può dormire la notte, se la città è sporca, se il servizio non è quello che dovrebbe essere... E sempre più i sindaci diventano autorevoli difensori della vivibilità dei centri storici. La voce, ora flebile e addolorata dei pochi abitanti del centro storico, non riesce più a farsi ascoltare».

Era il 1982, anno della famosa rivolta del quartiere marinaro che deviò la processione all’incrocio di via Cavour da San Domenico alla già citata chiesa di San Andrea. Che ricordi conserva di quel momento?
R:«Ricordo da giovanissimo prete, appena parroco del Buon Pastore, il mio sconcerto. Era sembrato opportuno, addirittura sensato, che chiusa la Cattedrale, la Madonna fosse accolta in una chiesa bella, spaziosa, accogliente come San Domenico. Rimasi molto sconcertato, quando sentii ciò che era accaduto. Non passarono molti anni che, diventato parroco di Sant'Andrea, compresi le ragioni del cuore di un atto che non può essere considerato ribellione, ma espressione di un grande amore verso la Mamma celeste».

Don Pino, alla Festa della Madonna perché si dovrebbe restare e non partire?
R:Perché partire è approfondire il divorzio con la propria tradizione di popolo. Ma io conosco diversi che partono perché hanno solo quei tre giorni. Non si possono permettere ferie prolungate. Patetici invece quelli che urlano invettive, denunciano confusione e disordine, pensano a quanto costa la festa patronale... Dimenticano i tanti che ci lavorano: le centinaia di venditori ambulanti, i giostrai, i fuochisti, gli apparatori... e il costo? Quelli che ci lavorano pagano per farlo, non costa poco il posteggio di una bancarella o di una giostra. La festa si autofinanzia. Prima toccava al Comitato Feste Patronali distribuire i posteggi e ricevere le quote, e così pagava la grande festa... anche con gli oboli certo. E poi quanto lavorano i locali pubblici? Di certo molti restano e molti forestieri arrivano. E superate le vie D'Aragona, Imbriani, Regina Margherita, fine della confusione, la tranquillità più assoluta. Parole ingiuste dette senza riflettere».

C’è qualcosa che la macchina organizzativa può fare affinché la festa per un barlettano divenga motivo per restare e non per partire?
R:«Quale macchina organizzativa? Un gruppo di coraggiosi, il  Comitato Feste Patronali , che si sacrifica per organizzare la festa possibile e si interfaccia con il Corpo di Polizia Municipale e alcuni uffici comunali. Alle forze dell'ordine il difficile compito di gestire il comunque notevole flusso di popolo. Tra di loro delle belle professionalità, completate da dori umane e da notevole self control e coraggio per gestire la fiera e garantire la sicurezza di tutti. Posso con l'esperienza di almeno una cinquantina di feste patronali, una dozzina delle quali da vicario episcopale e arciprete, esprimere gratitudine per i tanti operatori, soprattutto con chi indossa divise prestigiose. Grazie di cuore e grazie agli operatori della Bar.Sa per il lavoro preventivo e, soprattutto, per quello successivo alla festa. Il martedì mattina non trovi spazzatura. Tutto pulito, grazie anche a loro. E grazie alla nuova amministrazione comunale se considererà gli aspetti sociali di una festa patronale, se riterrà di prendersi cura, anche gestendo in proprio i momenti ludici. Credo sia coraggioso fare l'esempio di Bari e di San Nicola. Non ci sarà bisogno delle frecce tricolore, ma almeno prendersi cura di una situazione del popolo barlettano, non della chiesa barlettana. Al clero spetta celebrare e fare la processione. Altro non ci spetta. Ma donare alla città una festa degna del passato credo sia doveroso a prescindere dal colore politico o da ideologie o quant'altro e se vuoi, signor sindaco, fai tu la festa esterna».

Don Pino, cosa chiedere ai Santi Patroni quando per le vie di Barletta domenica 8 luglio ci sfileranno davanti?
R:«Pregherò per la mia città, per i miei concittadini: chiederò cresca lo spirito comunitario e si guarisca da quell'individualismo che ci ha impedito di crescere. Per la sua classe politica: perché persegua il bene comune. Per gli operatori economici, per tutti i lavoratori: ognuno faccia bene il suo lavoro. Per i disoccupati e per i giovani scoraggiati: abbiano concrete prospettive per gli ammalati: ci si prenda cura di loro. E chiederò ai Santi Patroni che ci sia più rispetto per le regole, più attenzione per le persone.

"A te Vergine di Nazareth - scrive Monsignor Pichierri nel decreto già citato - immacolato fiore della redenzione, modello della nuova umanità, roveto ardente di amore per Dio e per l'uomo, icona della chiesa tutta bella e tutta santa, affidiamo i figli di Barletta, il suo clero, le autorità civili e quanti si onorano della Tua materna intercessione"».
   

1 Commenti

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