Quando la Madonna degli Angeli guarì il cieco di Giuliano…


di FRANCESCO GRECO - PRESICCE (LE). Ha colpito anche un turista tedesco la sindrome di Stendhal. Sul registro ha scritto: “E’ una chiesa bellissimo!”. Bellissima e vissuta dalla comunità di Presicce, Salento meridionale: è nel suo dna.

Per secoli è stata parrocchia (è detta anche di Pozzo Mauro dal vicino casale), la zona di Santa Maria degli Angeli era molto antropizzata, perché ricca d’acqua: pastori con greggi e armenti, i contadini coltivavano la fertile terra “cinèvele”.
 
Accanto il Convento dei Francescani Riformati (formattato dall’editto napoleonico, inizi Ottocento). Sul piazzale sostavano i pellegrini in viaggio al Santuario della Madonna di Leuca. 

“Tutt’oggi, quando il sabato pomeriggio c’è la celebrazione eucaristica, dal 13 giugno al 4 ottobre, è colma di fedeli”, spiega il nostro cicerone Pierluigi Letizia, dell’associazione che promuove l’incantevole sito colmo di luce e dolce energia.

Sul viale di giovani pini maestosi, le ”poste” della Via Crucis e in fondo una croce di legno, rustica, povera.
 
Restaurata (fondi POR 2000-2006, lavori “a 360°”, dice il direttore, l’arch. Daniele Lia e finirono nel 2006), ma ancora bisognosa di interventi. Narra una storia ricca di avvenimenti e di bellezza che lascia senza parole e su cui all’inaugurazione (2009), spesero parole di stupore il parroco, don Gerardo Antonazzo, e il vescovo della  Diocesi Ugento-S.Maria di Leuca, Mons. Vito de Grisantis.
 
Dal 2017 è impreziosita da un dipinto (“L’apparizione della Vergine”, olio su tela, 110 x 170), opera del famoso artista Luigi Sergi (presiccese doc, nato all’ombra del Cinema Villani, una vita da docente di educazione artistica a Novara). Apparve a un pastore, Gabriele, il 12 luglio 1595  (un venerdì), che ogni giorno si fermava in preghiera dinanzi alla Madonna del melograno. Si lamentò delle sue condizioni dopo il “sacco” dei Turchi, 1481: un rudere, ricovero di belve (si salvò solo il dipinto  raffigurante San Bernardino da Siena). Il post-it era per i preti.

Il giorno dopo un mendicante cieco e zoppo, tale Angelo Damiano da Giuliano, che vagava per il feudo chiedendo la carità, fermatosi al pozzo per dissetarsi, ritrovò il bene degli occhi: “Miracolo!”, gridò il popolo. E che avvenne una guarigione prodigiosa lo conferma il filosofo Giulio Cesare Vanini, che viveva nella vicina Taurisano. Non restava che chiamare i maestri muratori. Ci pensò il barone Filippo Cito, che li finanziò: la Madonna degli Angeli divenne un santuario.

Ma, come per le nostre vite, anche quelle delle chiese hanno alti e bassi. Lo splendore durò, come già detto, sino all’editto napoleonico che cancellò molti conventi. Andati via i frati, la decadenza tornò.
 
L’attuale struttura (navata unica, due transetti laterali) è datata 1620, ma fu sovrapposta a un sacro edificio del XII secolo: lo svela l’affresco della Madonna del melograno d’epoca bizantina. I Francescani, come loro costume, l’hanno personalizzata.
 
Nel secondo Novecento giocavano i bambini, con la fionda tiravano ai Santi. I restauri (oltre a Lia, Giovanni Giangreco e Antonio Bramato, Soprintendenza BB.CC., il restauratore Mario Catania e le abili restauratrici) le hanno ridato l’antico splendore che lascia senza parole.
 
Gli altari sontuosi, in pietra policroma. Uno, barocco, della famiglia dè Liguori, principi di Presicce e Pozzo Mauro, proprietà anche nel Tarantino, da dove forse lo fecero portare: diedero alla Chiesa Sant’Alfonso Maria dè Liguori. Gli affreschi (alcuni protetti da muri di tufi, come se i frati avessero voluto preservarli dai Turchi).

Il pavimento in coccio pesto riverginato da un bravo maestro. Nuova luce per i manufatti lignei: recuperate due “cantorie” dove i frati pregavano e cantavano, la notte e il giorno, il retablo (XVII secolo) opera di Frà Giuseppe da Soleto, un crocefisso d’ulivo di Frà Pierpaolo da Martina (uno uguale è a Galatina, Santa Caterina d’Alessandria), un bel pulpito di legno di mandorlo, limone, cipresso (dal giardino accanto al chiostro, km zero) rinato dalle abili mani di un ebanista del paese.
 
Sotto al pavimento dinanzi alla Madonna del melograno, la tomba gentilizia dei principi di Presicce, incluso Carlo Francesco Bartilotti, ucciso – novembre 1655 - da un contadino in maschera (da qui la nomea di “mascarani” dei presiccesi), a causa degli esosi balzelli e forse lo “jus primae noctis” che il nobile imponeva.
 
Storie e leggende magicamente intrecciate, fino a stupire anche gli stranieri nell’èra del virtuale.

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