Santorio Santorio… la febbre sale

di LIVALCA - Possiedo dagli esami di terza media (io ho fatto anche quelli!) un quaderno rubrica in cui annotavo nomi e date importanti, in maniera sintetica, schematica e riassuntiva. Poi dal quarto ginnasio ho iniziato a collaborare nell’azienda di famiglia (la gloriosa Levante) con i vari giornali locali che si stampavano e il mio compito era quello di aiutare i  giornalisti a tagliare o integrare articoli in modo che la pagina di piombo potesse essere ‘chiusa’, senza subire stravolgimenti che richiedevano non solo tempo, ma spesso erano soggetti ad errori, spostare le colonne di piombo richiedeva esperienza, destrezza e mestiere. La mia specialità erano i titoli, dal momento che li sfornavo adatti alle esigenze dell’impaginatore che doveva comporli: erano un numero di parole giusto come fosse un  abito su misura e Dio solo sa quanto era difficile far capire a direttori-giornalisti che il titolo è sintesi e non spiegazione enciclopedica. 

Annotare questo in epoca di video, computer e cose simili diventa come praticare  il nuoto nel deserto. In quei tempi era fondamentale il correttore di bozze, anticamera di tutti i giornalisti di successo, cui spesso per premio si faceva firmare l’articolo. In quegli anni la mia rubrica-quaderno  con copertina rossa si è arricchita di nuove notizie ed era, in prossimità delle macchine da scrivere, nella disponibilità di tanti giornalisti: Aurelio Papandrea, Andrea Castellaneta, Giovanni Modesti, Alberto Margherita, Oronzo Marangelli, Federico Pirro, Aurelio Calitri, Giuseppe Tatarella, Beppe Lopez, Vito Maurogiovanni, Angelo Angelastro, Saverio De Bellis, Daniele Rotondo, Pasquale Cascella e tanti altri che al momento mi sfuggono.

Ieri quando ho letto su «Avvenire» (mi giunge in gentile omaggio) che Vittorio A. Sironi faceva nascere  Santorio Santorio  a Padova, ho deciso di verificare la notizia sul mio ormai ‘scheletrico’ quaderno, perché ero certo di essermi occupato negli anni ‘70 dell’inventore del termometro. Vi riporto integralmente quello scritto alla lettera esse: Santorio S - Capodistria, 1561-Venezia, 1636, medico Padova, svolto professione Corte re Polonia, Ungheria e Croazia; amico Galilei-Ars de statica medicina-Termometro, igrometro, anemometro, pendolo.

Poi a matita sopra (senz’altro aggiunto in epoca successiva), nella parte bianca fra le due rigature del quaderno, ‘Capodistra-Osimo’.  Era un modo per richiamare l’attenzione sulla città veneta. Infatti, quando è nato Santorio, Capodistria faceva parte della Repubblica  veneta (1279-1797), quindi è passata all’Austria e, alla fine della  Prima Guerra Mondiale, all’Italia (1918); nel 1954 fu annessa alla Iugoslavia e, dopo un lungo contenzioso con l’Italia, nel 1975 il Trattato di Osimo l’attribuì  alla nazione di Tito; nel 1977 fu ratificato il trattato con firma di Mariano Rumor e Milos Minic.  Dal  1991 Capodistria fa parte dello Stato indipendente di Slovenia.

A questo punto penso di dover chiedere scusa all’ottimo Sironi che, scrivendo “medico padovano”, ha risolto con intelligenza la questione, perché in effetti Santorio studiò e si laureò a Padova.  Chiaramente la semplice vista delle pagine del mio quaderno hanno l’incredibile potere di farmi tornare in mente cose ormai sepolte nei meandri più oscuri della memoria e che, stimolate nel modo giusto, fungono da guide precise e fedeli.  Ciò non toglie che vorrei chiedere al famoso medico, storico e antropologo Sironi perchè non si è avventurato nel capire il motivo per cui una famiglia che fa di cognome Santorio, per un nuovo nato, replica con  un nome uguale al cognome.

Per giunta, essendo nato tre anni prima di Galilei, di cui fu amico e collega negli esperimenti-invenzioni, non possiamo neanche affermare che i genitori si siano ispirati al grande scienziato pisano ( che per la cronaca hanno avuto l’accortezza di cambiare l’ultima vocale). Non si può negare che il cognome sia di chiara origine religiosa e suggerito dal ‘sanctorum omnium’( di tutti i santi), poi mediato in ‘torio’ e quindi rifinito, nel tempo, in ‘toro’. La qual cosa mi fa supporre, avendo molti amici  Santoro, che l’uomo di Capodistria abbia radici meridionali e forse addirittura pugliesi. Restiamo ai fatti direbbe l’Amico Papa, che ringrazio per l’immagine recuperata del medico; professionista  che da noi è ricordato per aver proposto una geniale e veritiera decifrazione meccanicistica, forse per primo, delle funzioni vitali.

Il trattato «Ars de statica medicina», forse l’opera più famosa e importante di Santorio, è un notevole lavoro scientifico in cui lo scienziato cerca di quantificare i fatti metabolici attraverso le variazioni del peso corporeo. Proprio per giungere a queste conclusioni inventò degli strumenti di misura che, secondo una prassi consolidata in quel tempo, sperimentò su se stesso.  Le cronache scrupolose ed efficienti gli attribuiscono la costruzione del primo termometro, precisando che partì da un progetto di termoscopio dell’amico di sempre Galilei e che sperimentava lo strumento misurando la temperatura corporea non solo dei malati, ma anche di tutti i sani che incontrava.

Sempre  a lui si deve  la realizzazione di un  igrometro, per la misurazione dell’umidità ambientale e di un anemometro per calcolare la velocità del vento. La scoperta del pendolo per misurare i battiti del polso si deve a questo dimenticato, almeno dal punto di vista della gloria eterna, Santorio, anche se  mi pare che il tutto venga ascritto nei  meriti di Galilei.

Secondo il giornalista-scrittore Carlo Castellaneta (un milanese morto a Palmanova, Udine, più di un lustro fa per ‘polmonite’) « L’amicizia, come l’amore, è un bisogno di scambio e di totalità» e ritengo che questo sia stato il rapporto intercorso tra Santorio e Galilei.  I due scienziati, contemporanei in tutto, morti rispettivamente a 75 e 78 anni ( probabilmente questi tre anni in più hanno permesso a Galilei di perfezionare teorie di cui il mondo aveva necessità e a chi scrive di lanciare una crociata contro coloro che in questi ultimi due mesi ci hanno fatto credere che si ‘sono morti, ma erano anziani’, per cui un peso…’morto’) meritano la nostra riconoscenza.

Su quel mio quaderno-rubrica (lui si vecchio e malandato, io non anziano e malridotto solo agli occhi di chi non può capire quanto sia ancora disponibile a restare per contribuire, con la sola presenza, a puntualizzare che abbiamo lavorato, oltre che per i nostri cari, per il nostro Paese) alla voce Galilei  sono annotate  tre frasi che vi riporto nell’ordine in cui sono state redatte :« Tutti sanno parlare oscuro, pochi chiaro», « Dietro ogni problema vi è una grande opportunità» e «L’insegnamento è per un quarto preparazione, per tre quarti teatro».

Questo mi permette di precisare che noi della vecchia guardia abbiamo fatto tanto teatro, di qualità e di intrattenimento a seconda delle circostanze e collezionato ‘fiaschi’e piccoli successi, ma il ‘teatrino’ andato in onda, su tutti i palcoscenici del vivere civile, ultimamente offende noi, il nostro Paese e la nostra Gente, GENTE ITALIANA da NORD A SUD e da SUD A NORD.

Dimenticavo se le cose da me riferite le trovate tranquillamente cliccando Santorio Santorio, voi miei 388 fedeli lettori che non sapete ‘condividere’, siete al corrente che Livalca non rifiuta il progresso, ma si attiene ai fatti appresi sui libri di carta, quella carta utile anche per fabbricare le  ‘mascherine’.
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