Altamura. Quasi un anno di Covid. Tutto è cambiato, tranne l’altamurano

ROBERTO BERLOCO - Altamura. Si fa sentire quasi un anno di Covid per Altamura. A testimoniarlo, innanzitutto, sono gli sguardi dei cittadini. O meglio, ciò che, dei loro volti, rimane oltre la mascherina. Vale a dire poco, quasi nulla, al di là degli occhi, quella componente del corpo umano che, nei rigori della letteratura, va noto come specchio dell’anima.

Se, agli inizi d’un anno fa, che una forma di sindrome respiratoria, così grave e potenzialmente mortale, avrebbe assunto proporzioni planetarie, coinvolgendo l’umanità di ogni nazione della Terra, corrispondeva ad una eventualità talmente remota da neanche essere presa in considerazione, oggi sembra che l’unica certezza sulla pandemia in corso sia quella di non averne, neppure ora che ha avuto inizio, finalmente, l’attività di vaccinazione, di già indirizzata verso soluzioni di adesione massiva.

Tale sorta di risvolto nella consapevolezza comune convive, oramai, con le esigenze di tutti i giorni, temprando le decisioni ordinarie, le quali hanno perso l’integrità d’un tempo, bilanciate, come hanno finito naturalmente per essere, da una serie di rinunzie che vanno dagli atti minimi della quotidianità alle programmazioni più importanti della vita lavorativa.

A questa nuova regola generale, nessun popolo al mondo ha potuto sottrarsi, neanche quello altamurano, al quale va, di solito, la palma del maggior spirito combattivo tra le collettività dell’area murgiana, ma pure ben oltre.

Tuttavia, quasi a volersi smarcare anche nella mala sorte, questa d’un morbo virale tanto insidioso e prepotente, non è mancato al cittadino federiciano - al quale, nel XVII secolo, l’abate romano Giovan Battista Pacicchelli, in una delle sue cronache di viaggio, dava del “vacillante, tumultuoso e libertino” - una sorta di fiera condotta, la stessa che i veri orgogliosi, solitamente, portano a scudo contro le forze maggiori, cioè quegli eventi verso i quali, per eccessiva superiorità, nulla essi possono e nulla manco intendono potere.

“Docile” - l’altro aggettivo che al Pacicchelli piacque d’inserire nelle sue narrazioni, quando ebbe da dire sull’uomo del luogo - l’altamurano non si è sottratto al controllo della positività da Covid 19, affollando, in fila ordinata e attendendo regolarmente il proprio turno, la postazione infermieristica predisposta in via Manzoni per la verifica del tampone.

E’ andata avanti così, per mesi e mesi, secondo le direttive impartite dalla sindaca Rosa Melodia, la quale, nel suo ruolo anche di massima autorità sanitaria del paese, non ha mancato di rapportare, con cadenza periodica e, anche, di persona, sullo stato dei contagi nel territorio comunale.

Ma non vi sono state esitazioni manco per altre prove di resilienza alle quali il conterraneo di Saverio Mercadante s’è trovato chiamato, come quella d’eclissarsi al coprifuoco notturno, oppure di conformarsi agli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali, resi ondeggianti dai periodici cambiamenti di colore del semaforo dei divieti.

E come dimenticare quei momenti, durante la prima stagione del virus, ricordo dell’ultimo anno trascorso, con donne devote e prodighe del proprio tempo nell’implorazione quotidiana, rivolta, con forma di preghiera, a Dio e a quella speciale Madonna del luogo più nota come del Buoncammino, affinché il flagello del contagio potesse essere debellato?

Reazioni legittime e non imposte, alla maniera pure di quella dei commercianti di abbigliamento che, stretti da una catena di solidarietà reciproca, durante l’Autunno passato, hanno arredato i bordi delle strade principali con le loro bustine griffate, un modo chiaro per invitare i concittadini a fare spesa dentro il paese, a non dimenticare, insomma, l’economia della propria patria civica.

Mentre, poi, la voce pubblica diventava sempre più prestata al vaccino, con il richiamo ad una guardia che tiene da conservarsi sempre alta, ecco spuntare anche veri e propri atti di virtuosità morale, come l’esempio offerto da due agenti della Polizia Locale, gli altamurani Carlo Tedesco e Domenico Recchia, intervenuti prontamente, nei primi di Gennaio, a salvare dal soffocamento un bambino di appena cinque anni.

E, verso metà del mese in corso, a ricordare come, contro il sentimento di una umanità solidale che, non di rado, abbonda dietro l’orgoglio del resistere, nessuna epidemia e nessuna restrizione potranno mai alcunché, concorrono financo due adolescenti, Elena e Luca, alunni dei due Licei cittadini e con un genitore in terapia intensiva per coronavirus in comune. Sono proprio questi due ragazzi, difatti, a prendere la penna in mano, per scrivere direttamente a Lucia Azzolina, attuale Ministro della Pubblica Istruzione.

“Le nostre politiche sconsiderate” - si legge nel loro testo epistolare - “giusto per propaganda, non servono e fanno crollare i Governi. Noi confidiamo tanto in Lei, in primis in qualità di Donna e, in secundis, di Educatrice. Le scelte non sono mai facili da compiere, bisogna avere coraggio nel perseverare anche se sono impopolari, cercando di tenere alla larga cattive compagnie, consiglieri fraudolenti e possibili malefatte”.

E, a seguire: “siamo tutti consapevoli dell’importanza dell’istruzione che va fornita ai cittadini d’un futuro Stato. La scuola è luogo dove crescono le radici che diventano chiome mosse dalle fronde del vento, dove germogliano i pescatori di idee e di concetti. In un momento così particolare, non dovete assolutamente mettere a repentaglio la vita di famiglie intere, contrariamente a quello che si dice, i contagi a scuola sono troppo frequenti. Non c’è cultura e scuola che tenga dinanzi allo strazio e alla sofferenza della malattia. Tutti noi vogliamo tornare tra i banchi di scuola, ma non possiamo farlo ora. Ci sono ancora troppi morti …”.

Questo pure è coraggio. Coraggio di rinunziare a quel che, addirittura, è un diritto costituzionalmente garantito, per commettere un sacrificio, quello imposto dalla didattica a distanza, in nome del valore più alto della salute di tutti.

Non mancherà di notare, ancora, passeggiando tra le strade del più esteso dei centri dell’Alta Murgia, quanta coscienziosità sia stata infusa da ciascun esercente nell’informare il cliente in entrata, attraverso stampati affissi sulle vetrine, circa le regole ingiunte dalle decisioni del Governo. Dal numero massimo di persone che possa ospitare il locale, sino al richiamo della mascherina, del distanziamento minimo e della necessità d’igienizzare le mani. E qualche esercizio aggiungendo perfino, a guisa d’un riflesso ampollato istintivamente dalle profondità dell’inconscio, che il principio motore rimane sempre lo stesso, alla faccia di questo virus che pretende d’umiliare salute ed economia della comunità. Come nel caso di una elegante caffetteria che, proprio sul lato frontale dell’ingresso, sopra il pannello che descrive le varie modalità di servizio rese possibili dalle misure in vigore, aggiunge forte e chiaro: “noi non ci fermiamo”!

Perché sì, a tutto l’altamurano s’è piegato. A molto ha abdicato. A tanto s’è adeguato. Ma, sempre, con animo ferventemente non rassegnato. Di continuo, dietro le nuove impostazioni di coesistenza, rese giuste e doverose da una emergenza reale, lasciando libero il proprio cuore di battere, vitale e ribelle come durante i periodi storici di oppressione assolutistica, quando l’istinto a reagire, unito ad un coraggio ancora genuino e non compromesso dalle malizie e dalle distrazioni dell’epoca moderna, presero la sostanza di moti rivoluzionari che, ancor oggi, echeggiano della gloria del martirio.

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