Africa vs Salento: il mondo magico di Casciaro

di Francesco Greco - Preti malandrini ma ferventi della loro mission, liberali miscredenti e burloni, squattrinati dandy di paese capaci d’ogni espediente pur di fare la bella vita. E poi macellai abbienti, barbieri saggi, intrighi di letto fra nobili a cui è rimasto solo il titolo, marescialli annoiati interessati più al tressette che all’ordine pubblico, amici folgorati dalla vocazione che decidono di prendere i voti e altri dediti agli scherzi goliardici. Senatori allegri che si danno di gomito col popolino. E ancora: mamabù al servizio di candidati alle elezioni, feticisti che scacciano gli spiriti del male, miss bellissime e padri che vogliono accasarti con figliole appena in boccio (“Se il padre vuole”).

Salento vs Africa: è il mondo magico, sanguigno, stralunato come nei film di Fellini e perciò reale (superstizioni incluse) di Luigi Casciaro, in “Dov’è il paradiso?” (racconti indigeni, esotici, esoterici), Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce, 2014, pp. 166. € 13.00, bella cover di Raffaele Casciaro (Spiagge di San Pedro, Costa d’Avorio). E’ il terzo lavoro di un imprenditore prestato alle lettere, o letterato in spe nell’impresa (“Sporchi italiani”, Editore Trevi, 1980 e “La democrazia a misura d’uomo”, Edizioni Leucasia, 2005).

L’anno di nascita (1938, a Presicce, Lecce, dove in un Carnevale del tardissimo Medioevo ammazzarono il signorotto locale entrando così nell’evo moderno) svela che è nato in un mondo in bianco e nero, di pane amaro e cicche passate da una bocca all’altra, notti nelle vigne in cerca dei grappoli appena scuriti con la terra ormai parcellizzata e i suoi frutti a sostegno di un’economia di sopravvivenza, autarchica, in una rigida gerarchia sociale, dove ogni ascensore è fermo, che poi ha ritrovato quando decise di fare impresa in Africa (Nigeria e Costa d’Avorio) dove probabilmente ha trovato gli archetipi economici e sociali mutuati dal nostro boom economico e lo “sfogo” dell’emigrazione del Sud rurale della sua adolescenza, in un Sud cristallizzato, vittima di un incantesimo.

Contaminazioni carsiche e di superficie colte dalla sensibilità di Casciaro, che innervano 15 deliziosi racconti sospesi fra passato e presente, che d’istinto fanno pensare a Piero Chiara e Salvalaggio, ma anche a Verga, Alvaro, Guareschi e Pirandello. Quell’universo sfaccettato della provincia di Terra d’Otranto nell’altro secolo, dove pare che nulla accada e invece la vita è più intensa e sapida. Poi la parola avrebbe perso peso filologico e ogni affabulazione sarebbe stata colta da afasia.

Partendo da una ricca autobiografia lo scrittore pugliese ha colto la ricchezza semantica, l’affollamento di segni e di background del suo universo minimalista (nel Paradiso, per dire, non c’è manco un prete e nemmeno un vescovo, un cardinale e finanche un papa!) catturandolo per sempre sulla carta in un gioco incantevole di ricordi riportati a nuova luce, di echi amplificati che si dipanano con vivida naturalezza su un canovaccio socio-antropologico, una tavolozza dove le sue pennellate rapide e sicure si servono di una lingua speziata, colma di umori e sapori, di poesia e bellezza per narrare la vita e l’uomo di ieri (di sempre).

Piace la modulazione: Casciaro è l’erede dei grandi affabulatori che il Sud vanta nel dna e che sopravvivono nelle sere d’estate, al fresco davanti alle case con i narratori seduti su vecchie sedie di paglia, nei cortili delle case a corte, perduti nell’ordito di racconti ogni volta diversi a seconda dell’io narrante. Vicoli colmi di Omero in sedicesimi. La scrittura è ironica e leggera, evocativa, soffusa di un disincanto laico quasi blasfemo che si trasfigura in una sorta di esilarante Vangelo apocrifo (“Conversazioni in Paradiso”, Dio si lamenta: “Non c’è più religione… L’unico Dio riconosciuto e adorato è il denaro, al quale vengono eretti nuovi e grandissimi templi: le Borse, le banche, le finanziarie. La Chiesa è diventata un covo di pedofili, d’impostori e i governi, gli stati, veri carrozzoni di corrotti, di criminali mafiosi, di ladroni spregiudicati, di trafficanti di droga e di armi…”) com’è lo spirito antico, paganeggiante, dionisiaco della gente del Salento dei briganti e le “macare”, ma sempre venata di pietas umana dettata, direbbe Hemingway, dalla partecipazione all’umanità.

La prosa essenziale, rapsodica coglie umori, fierezze, stati d’animo, un’esitazione dello sguardo e del cuore e passa alla scansione successiva. Casciaro narra con la gioia di un menestrello medievale le sue novelle un po’ boccaccesche (“Meglio una notte da leone…”), con una loro morale, quella del tempo perduto, patriarcale, sospese fra i “cunti” di Basile e i “culacchi” di Papa Galeazzo, illustre quanto misconosciuto antenato di tutti i messapici.

Sublime, di toccante bellezza “L’amore in nero”, un gioco condotto con sapienza e maestria sull’identità sessuale in Africa (Raschel e Fatù le protagoniste) e di cui taceremo i passaggi per non levare al lettore il piacere di scoprirlo da solo. Chi conosce l’Africa attraverso l’oleografia turistica, scoprirà in una sensualità struggente, a tratti devastante, un mondo sconosciuto, misterioso, denso come mosto di passione e di vita dilatate in una tensione erotica. Degno delle pagine più belle di Karen Blixen, i versi di Rimbàud, il cinema di Pasolini.

Di Casciaro conquista, infine, la fiducia estrema nella parola, che torna a scorrere sensuale: dovrebbero invitarlo nelle scuole di ogni ordine e grado a raccontare (dopo aver spento il pc e la sciocca tv di reality e talent: volgare spazzatura, mezzi con cui si surrogano i fini, direbbe Mac Luhann), affinchè le nuove generazioni dalla lingua atrofizzata, appunto, da tv e web, riscoprano la sua forza maieutica, la possente energia, l’enorme potere che invano tentano di castrare.

Nella falange di nuovi scrittori che percorrono Terra d’Otranto in questo III Millennio, in una terra vocata all’arte, dove la creatività è orizzontalmente diffusa e sorprendente, nel dna, Casciaro ha un ruolo di primo piano e ancor di più lo avrà domani se continuerà a farci dono delle perle del suo scrigno, affinchè non vadano perdute.

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