Da Londra al Salento sulle tracce di Patience Gray


di Francesco Greco -  Come dev’essere il contadino moderno, 2.0, che usa il tablet e ha un blog? Esattamente come quello del passato: immerso nei ritmi ancestrali della natura, rispettoso dei suoi cicli. Sintesi della memoria dei popoli nel suo dna ma, come direbbe Bertoli “lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.

Ne è convinta la scrittrice britannica Jojo Tulloh, che a Londra ha appena presentato il libro “A Modern Peasent” (Il moderno coltivatore, nella foto la cover), edito da Chatto & Windus, riprendendo un libro di successo degli anni Ottanta della scrittrice Patience Gray, “Honey from a Weed” (Miele dalle erbacce). Scritto nel Salento, alla masseria “Spigolizzi”, dove ha vissuto oltre 30 anni con lo scultore Norman Mommens.

Nell’autunno scorso, col fotografo Jason Lowe, Jojo era stata in visita proprio nella masseria situata fra Salve e Presicce, nel Leccese, ospite di Nicolas Gray, figlio di Mommens, e la giornalista Maggie Armstrong, sulle tracce di Patience, che considera la sua “maestra” spirituale. Ecco le sue impressioni sulla gente del Salento, la natura, la cultura.

Domanda: Quale misteriosa, ancestrale energia l'ha portata in una terra antica, colma di bellezza e tesori d'arte, abitata dai misteriosi Messapi?

Risposta: “Avevo letto e amato il libro di Patience Gray, Honey from a Weed, e ho sempre sentito una grande voglia di visitare la casa dove lei viveva con Norman sulla collina pietrosa. Lei ha descritto il luogo come un posto magico ed io ho voluto vederlo per me stessa. Di più, il libro mi ha spinto a chiedere come la gente può incorporare vecchi modi di fare le cose nella vita moderna ai fini di dare più significato alla vita. A Londra per caso ho rincontrato Katerina, nipote di Patience, e così ho potuto mettermi in contatto con Nick e Maggie e visitarli”.

D. Che cosa sapeva del Salento e qual è stata la prima impressione della natura e la gente che lo abita?

R. “Non sapevo molto di più oltre ciò che ho letto nel libro di Patience: che era una vecchia terra abitata da molti popoli diversi dalla notte dei tempi e che era molto bella e in parte ancora incontaminata. Mi sono svegliata la prima mattina a Spigolizzi stupefatta/sbalordita dalla luce d'oro e la pace e serenità della collina. Abbiamo fatto una passeggiata all’alba e, salendo la scalinata a chiocciola di una pajara, abbiamo guardato sul mare fino all'orizzonte. Sembrava un miracolo che questo paesaggio antico sia potuto sopravvivere intatto e sarebbe bello che potrebbe rimanere per le generazioni future”.

D. E' una terra colma di energia, di spiritualità millenaria: l'ha colta?

R. “Sì, molto. Sembra un paesaggio duro, che ha sostenuto la gente che lì ha vissuto. Quando mi sono ritrovata nella realtà di Honey from a Weed era un po' come tornare indietro nel tempo, ma mi ha fatto riflettere sul mio modo di vita e, in particolare, come procuro io il cibo. La vita moderna ha molte convenienze, ma abbiamo bisogno di preservare il passato e in particolare i luoghi selvaggi e antichi. Una volta distrutti dallo sviluppo non possono essere recuperati”.

D. Sapeva della scelta estrema di Norman Mommens e Patience Gray, che qui vissero amati da tutti?

R. “Della loro scelta di vivere così mi ha accennato la lettura del libro di Patience. Allo stesso tempo sono stata impressionata, addirittura meravigliata, dalla profondità della sua conoscenza, dalla sue amplissime letture, e anche dal suo talento per la narrazione. Le sue descrizioni di una vita vissuta nella consapevolezza dei tempi passati sono avvincenti come qualsiasi romanzo”.

D. La condivide?

R. “Non sono sicura che sono così forte come loro! Detto ciò, c'è molto nel loro modo di vita che mi attira. Forse la cosa più incredibile per me è come Patience ha potuto precipitarsi da una vita a Londra a una vita tutt'altra con Norman. Ho sentito nella masseria la forza della loro vita insieme nonostante che entrambi sono scomparsi. Ammiro molto come hanno combinato l'agricoltura e la creatività artistica. Mi sembra un buon equilibrio. Quando altri prendono scelte molte diverse da come noi viviamo, induce una valutazione della tua vita che può essere solo una buona cosa. Ora più che mai, dobbiamo essere consapevoli dell'impatto delle nostre scelte”.

D. Pensa che cercavano il loro Aleph e che vivendo senza i feticci della modernità l'avessero trovato qui?

R. “Nonostante che non mi spiego come abbia potuto vivere una vita così rigorosa, la purezza di un'esistenza senza la confusione della modernità è molto attraente. Sembra che togliendo la roba eccessiva ha dato a loro il tempo di concentrarsi sulle cose veramente importanti: la creatività artistica, la scrittura e il loro rapporto. Hanno potuto vivere in un posto isolato, senza mai essere isolati - l'opposto dell'esperienza di tanti che vivono in una grande città”.

D. A Spigolizzi le hanno insegnato a riconoscere, cucinare e mangiare le erbe spontanee che per secoli ci hanno sfamati: come le ha trovate?

R. “Siamo andati sulla collina per raccogliere le cicorie selvatiche per accompagnare un piatto di fave e pancetta. Abbiamo raccolto le mele cotogne dal giardino. Qualche pianta selvatica commestibile già la conoscevo dal mio orto popolare a Londra; altre Nick e Maggie me l’hanno indicate. Mi piace mangiare il cibo cercato nella natura o dal proprio orto perché ha molto più sapore. Di più, Patience attribuisce a queste piante tante qualità curative; così ci si sente virtuosi e rinforzati mangiandole”.

D. Perché ha inserito nel suo libro alcune ricette tratte da quello di Patience? Come le la scelte?

R. “Abbiamo cucinato con gli ingredienti di stagione. Era l’inizio di novembre. Siamo andati al mercato e abbiamo comprato punterelle e mazzetti di piccoli peperoncini tondi rossi. A Salve abbiamo visitato una panettiera al lavoro con l’antico forno tradizionale. Abbiamo cucinato grosse mele cotogne gialle dal giardino per preparare la cotognata e comprato minuscole seppie al mercato del pesce. Abbiamo utilizzato i vecchi treppiedi anneriti di Patience per grigliare una palamita intera nel camino. Abbiamo cucinato cosa c'era sotto mano e cosa sembrava più gustoso. Il Salento è fortunato perché ci sono sempre contadini che coltivano e preparano il cibo nel modo tradizionale. Ci auguriamo che continui così a lungo. In Gran Bretagna abbiamo dovuto riforgiare la catena rotta tra produttore e consumatore”.

D. Di cosa parla il suo libro?

R. “Chi abita in città sta rivendicando i mezzi di produzione del cibo per se stesso. Aprono nuove imprese artigianali: birrai, panificatori, macellai, caseifici. Chi cucina in casa scopre la soddisfazione di imparare come fare le cose per se stesso e integrare questi compiti nella vita quotidiana. Questo libro racconta i miei incontri con questi artigiani esperti e cosa ho imparato da loro. Ci sono ricette e consigli per chi vuol tentare di fare il pane, il formaggio, le conserve, chutney e marmellate da soli. Veramente è stato un tentativo di catturare un po' dell'emozione/gioia stimolata da questo nuovo tipo di produttore. Voglio focalizzare l’attenzione sull'importanza del cibo, ispirata dal libro di Patience che ha sempre ricercato la conoscenza antica degli altri. Questa citazione di Patience lo spiega in modo più eloquente: "Far crescere il cibo dalla terra da solo mi ha sempre interessato: anche l'appetito. La bontà e la virtù curativa di un pasto dipendono dalla passione col quale è stato immaginato, cucinato e mangiato. Mi è sembrato giusto mostrare qualcosa di una vita che genera questo elemento indispensabile in un tempo in cui la denutrizione tormenta anche i più benestanti”.
La coperina di 'The Modern Peasant', ed.Chatto & Windus

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