Storia di una “ferita” nel cuore di Venezia


Dal nostro inviato Francesco Greco.
VENEZIA – Storia di un fallimento. Politico, imprenditoriale. Nel mitico Nord-Est delle partite-Iva. Che screzia un po’ l’immagine di Venezia, calli e campielli sotto gli occhi del mondo tutti i giorni. La città di Casanova, il suo sogno di dominare l’Europa dei Lumi, e le alcove, finito nel carcere dei “Piombi” (sott’acqua). La Serenissima si veste di celluloide, di fiaba, di cinefili “portoghesi”, accreditati da riviste, cartacee e on-line, che conoscono solo loro, eventi a ogni angolo, feste notturne: la ragazza che suona il violino al Ponte di Calatrava opera criticata dell’ex sindaco Cacciari) è sempre quella, come i barboni e i ragazzi che chiedono ai turisti di portare i loro bagagli. Immutata la struggente bellezza di una città sull’acqua, meltin pot di razze.

   Primo impatto al Ponte di Rialto: prezzi immutati. Il vaporetto costa sempre 7€. Con 20€ fai un pranzo completo: lasagna al forno, bistecca con contorno di patatine fritte, acqua, frutta e caffè. I vecchi cinefili ti dicono dove puoi lasciare il bagaglio gratis e un convento di suore dove dormire per pochi €: non è una leggenda metropolitana, un luogo metafisico, lo cerchi e lo trovi davvero zona piazza Roma. Nessuno ci crede ma Venezia non è cara…

   Dopo l’esordio con George Clooney e Sandra Bullock, l’italiana Emma Dante e il Leone d’oro alla carriera al regista William Friedkin (ricordate “L’esorcista”?), ieri il ministro della Cultura il leccese Massimo Bray (che ha rifinanziato i Fus) ha spiegato come uscire dal cinema in crisi e il ministro dell’integrazione Cecile Kyenge ha parlato del cinema che affratella i popoli. Intanto radio-gossip è per la madrina, l’algida Eva Riccobono: è single? No, appaiata. E chi è l’uomo? Si fa le vascate al Lido con un vestito rosa confetto. Ma soprattutto per la dea Monica Bellucci, appena separata da Vincent Cassel e il miliardario russo (immobiliari). A Bari (1991) girò “La riffa” di Francesco Laudadio.

   Ottobre 2007: Monica girava a Lecce “No Te Retourn Pas” (“Non ti voltare”), regia della parigina Marina De Van, contributo dell’Apulia Film Commission, con Sophie Marceau. Il film andò male. Conferenza-stampa di fine riprese: arrivò puntale, salutò tutti noi giornalisti con la vocina. Timida, modesta. Un ragazzo leccese le regalò un mazzo di boccioli rosa. Lei arrossì. La intervistai. Aveva la pelle bianchissima, le mani enormi, ma quel che lasciava senza respiro era lo sguardo profondissimo. Il Comune le regalò un collier, un assessore glielo mise al collo, arrossì ancora: “Lo metterò alla prossima serata di gala…”, sorrise bloccandolo.

   Torniamo al fallimento, una “ferita” profonda, che fa tornare con i piedi per terra anche una maga Circe come Venezia. In laguna, un buco enorme, uno scavo (formattarono un’immensa pineta) dove doveva nascere il nuovissimo Palazzo del Cinema da 2400 posti. Se lo inventarono per contrastare Roma, che col suo festival attentava alla leadership storica (questa corrente è la 70ma edizione). E’ diventato un boomerang, che ne ferisce l’immagine: una storia tutta italiana di sprechi, ritardi, burocrazia acefala, politici cialtroni.

   Nel 1999 misero la prima pietra: il ministro Rutelli, il sindaco Cacciari, il governatore del Veneto Galan. E solo quella è rimasta. Le ruspe scavarono e trovarono amianto, rifiuti velenosi: il costo della bonifica era di 32 milioni di € (“tutti sapevano che lì sotto c’era amianto”, dice l’ambientalista Fabio Cavolo che incontro al Lido). Sinora ne sono stati spesi 43: per un monumento postmoderno al nulla cioraniano. Buono per la Biennale (zona Ponte dei Sospiri). Comune e impresa misero mano alle carte bollate. I politici dissero: ce la faremo per primavera 2011 (per festeggiare 150 anni storia patria). Parole al vento umido che soffia dalla Laguna. Vedendo fallire il megaprogetto, rilanciarono: allora facciamone uno da 700 posti. Che era già una sconfitta, nella città della Serenissima e dei Dogi dove Hemingway corteggiava la ricca dama Adriana Ivancich (“Di là dal fiume tra gli alberi”) e Thomas Mann credette di afferrare la giovinezza facendo innamorare il suo alter ego di Tazio bellissimo ragazzo slavo.      

   Altra follia: cercarono di vendere l’ospedale del Lido per finanziare il Palazzo del Cinema. Come il ragno intrappolato nella sua stessa ragnatela. E infatti, accortisi dell’incartamento, si dissero: e se ristrutturassimo il vecchio Palazzo del Cinema? Poche idee, alla Flaiano, ma belle confuse. Scatto d’orgoglio: per il mega-Palazzo ce la faremo entro il 2009, affermarono con tono tonitruante, come direbbe  Montanelli. Solo che nel frattempo la filosofia italiana era diventata l’asprezza della spending-review. Pare la sceneggiatura di un film di Rosi, commedia agrodolce dell’Italia che cerca di fuoruscire dal berlusconismo. Mentre da un momento all’altro, la sera, hai paura che dalla laguna buia esca il suo fantasma (dell’opera) per una proroga di altri vent’anni…  E non c’è nemmeno un Sordi o un Risi a farci su una commedia di successo. E manco un Tinto Brass a mostrare il lato b dei politici. Venezia, oh cara…

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