Massimo Cotto: «Su Virgin Radio racconto il rock. Il mio sogno? Scrivere di Paolo Conte»

di Nicola Ricchitelli - Su Virgin Radio racconta il dietro alle quinte di quell’affascinante e ribelle mondo che si chiama rock: «il rock vive da sempre di eccessi e leggende, di follie e meraviglie… Volevo anche disegnare un affresco di un'epoca straordinaria dove il rock era anche uno stile di vita». Nasce così la rubrica Rock Bazar, rubrica che da qualche giorno ha preso anche le forme di un libro: «E' una grande gioia quando un programma diventa libro perché significa che è entrato nel cuore delle persone…».

Massimo Cotto e non solo, nell’intervista realizzata allo storico deejay – ora alla corte di di Virgin Radio - si è cercato di toccare i molteplici aspetti della sua vita e della sua carriera, dalla sua esperienza politica nella sua città natale Asti: «sono un giornalista imprestato alla politica…» a quella di autore, visto che lo stesso ha scritto di Vasco Rossi, Patty Pravo, Ligabue, Pelù e tanti altri: «Mi piacerebbe scrivere di Paolo Conte… Forse siamo troppo simili per scrivere un libro insieme».

D: Piccola premessa nel corso dell’intervista come preferisci essere chiamato, Cavalier Cotto, signor Cotto, o vada per Massimo? 
R:«Anche se sono cavaliere preferisco andare di corsa, dunque Massimo è perfetto».

D: Massimo partiamo da Rock Bazar. Come nasce l’idea di dedicare una rubrica su Virgin Radio che racconta di storie e legende dei miti del rock?
R:«Il rock vive da sempre di eccessi e leggende, di follie e meraviglie. Volevo raccontare il dietro le quinte, il momento in cui le luci del palco sono ancora spente ma succedono egualmente cose uniche e irripetibili. Volevo anche disegnare un affresco di un'epoca straordinaria dove il rock era anche uno stile di vita e non solo un genere musicale».

D: Dalla rubrica poi si passa al libro…
R:«è una grande gioia quando un programma diventa libro perché significa che è entrato nel cuore delle persone. Il passaggio dall'etere alla carta è stato indolore, perché c'è sempre la parola al centro di tutto. È la potenza delle storie, che colpiscono indipendentemente da chi ne è protagonista».

D: Tante le anime che albergano in te: giornalista, scrittore, deejay, autore e assessore. Dovessi spiegare chi è Massimo Cotto come ti definiresti?
R:«Un essere dinoccolato e un po' goffo che ha avuto la fortuna di fare quello che ha sempre sognato: parlare di musica. Non sono un musicista mancato, ho sempre voluto essere ponte fra chi fa musica e chi ne fruisce. Da quel ponte si gode una vista impareggiabile, perché hai davanti agli occhi entrambe le rive».

D: Piccola curiosità: come stai vivendo l’esperienza dell’assessorato al comune di Asti?
R:« Sono un giornalista imprestato alla politica. Diciamo che come una lucertola è il riassunto di un coccodrillo, io sono il riassunto di un assessore. Però abbiamo fatto cose bellissime, dimostrando che la cultura può essere il motore di ricerca del benessere e che, se collegata all'aspetto economico, può anche produrre denaro e lavoro».

D: Più di trent’anni di radio, di te Pelù disse: «Radiouno senza Massimo Cotto è come la Fiorentina senza Antognoni». Hai mai pensato di raccontare questo camino in un libro autobiografico?
R:«Ringrazio Piero, con cui ho scritto due libri e con cui lavoro oggi a The Voice, ma di cui sono soprattutto amico. Ho scritto Pleased To MeetYou dove racconto non tanto la mia vita, ma le cose più belle, buffe e commoventi che mi sono capitate in tanti anni di vagabondaggi sulle vie della musica. L'ho fatto per comprare con i diritti d'autore un defibrillatore per il teatro alfieri di Asti, dopo aver fatto promettere ai miei concittadini che l'avrebbero usato meno possibile».

D: La tua penna ha raccontato le vite di molte colonne portanti della musica italiana, da Vasco Rossi a Piero Pelù, passando per Luciano Ligabue, Francesco De Gregori, Nomadi, Patty Pravo, Guccini e tanti altri. Vi è un artista di cui avresti voluto e vorresti scrivere?
R:«Paolo Conte. Siamo due astigiani nati in fondo alla campagna, e abbiamo il sole in faccia rare volte, il resto è pioggia che ci bagna,come canta in Genova Per Noi. Abbiamo gli stessi pudori, la stessa voglia d'altrove, gli stessi stupori verso il mondo e verso il mare. Forse siamo troppo simili per scrivere un libro insieme. mai dire mai, però».

D: Massimo, con rispetto parlando per tutti gli altri, perché non sono nati in Italia i vari Hendrix, Kobain, Morrison e compagnia bella?
R:«Perché Dio è nero e quindi è nato in America. A parte gli scherzi, perché il rock non fa parte del nostro dna. Lo portiamo bene sulla pelle, ma non è nelle nostra ossa».

D: Perché il rock è sempre stata roba per inglesi?
R:«Anche per ragioni metriche, ma non solo. Vale la risposta di prima: se il rock è l'acqua, gli americani e gli inglesi sono il mare, noi al massimo una bella piscina».

D: Il rock può essere roba per italiani?
R:«Certo. Ma fino a un certo punto, nel senso che rimarrà sempre all'interno dei nostri confini. A parte Lacuna Coil e poco altro, non vedo molte chance per conquistare l'estero».

D: In Italia chi raccoglierà l’eredità dei vari Vasco Rossi, Ligabue, Litfiba, Venditti, De Gregori, Baglioni, Antonacci, Guccini, Mannoia, Zero e via dicendo?
R:«I talenti ci sono: Mannarino, Brunori sas, Zibba, Amara. Manca una discografia capace di sostenerli fino in fondo. Oggi si ragiona in termini di cd, di tour, di singolo. Bisognerebbe tornare a ragionare in termini di carriera».

D: Cosa manca alla carriera di Massimo Cotto?
R:«Spero non arrivi mai tutto, così avrò sempre qualcosa da cercare. Però ti posso dire una cosa: darei tutto quello che ho fatto per uno scudetto del mio Toro».

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