Puglia vs Romagna, storie di rose e terre violate

di Francesco Greco - Alle 7 e 10 di un lunedì di luglio, nell'erba verde del suo uliveto in fiore, Fernando scopre il corpo di una ragazza: è nuda e ha il viso ferito. E' l'incipit del romanzo “La rosa violata”, opera prima del tarantino (ma vive a Montalcino, Siena) Beppe Briganti, meccanico con la passione del restauro di mobili antichi, entrambi lavori solitari, che lasciano quindi il tempo alla mente di correre dietro ai suoi ghirigori barocchi e poi buttarli su un foglio o un file.
Giallo in salsa mediterranea, all'ombra polverosa e calcinata delle masserie di Puglia arse dal sole e dei santuari del divertimento della Riviera Romagnola.

Di primo impatto si pensa a Montalbano e a Pepe Carvalho, ma i carabinieri che indagano sui misteri levantini a Taranto e dintorni sono più terra terra, meno filosofi, più semplici nel dipanare il groviglio fra apparenze e tipizzazioni sociologiche della commedia umana per noi del Sud così famigliare.

L'intarsio della storia è ben architettato, equilibrato, la trama invoglia a proseguire: si direbbe quasi in forma artigianale. E con i romanzi che girano è già tanto. Lo scavo psicologico dei protagonisti è riuscito e il giallo scorre veloce come un film. La password antropologica delineata, il lavoro sui personaggi fa da contraltare senza sbavatura.

La noia della provincia meridionale (qui siamo nella zona dell'assassinio di Sarah) e la voglia di fuga: c'è tutto, come lo smarrimento, lo sradicamento nel passaggio dal mondo contadino a quello che non si sa bene come definire in un mondo, il Sud, d'improvviso indecifrabile anche a chi ci vive. In più, l'uso del lessico dialettale (il tarantino, anzi, il talsanese) spruzzato qua e là, dà alla storia raccontata un atout territoriale rilevante e una valenza sociologica che lo arricchisce.

Briganti deve aver attinto, si suppone, alla propria biografia. Bo Mezzaspina, famiglia bene, è il protagonista. Ci si aspetta che faccia il commercialista o il trader, il pusher o il produttore di vini (lavori emergenti), e invece al tempo della crisi deve fare fa il meccanico, ama Mariella, una ragazza confusa del nostro tempo, una delle tante che troviamo alla fermata dell'autobus o al brunch nel locale alla moda.

La forza dell'archetipo sconfina anche, anzi, diremmo soprattutto nei genitori di lei: Anna e Luciano, molto realisti: gente così ne conosciamo tanta. Come nel fratello Aldo, debole e privo d identità, canna al vento nella tempesta della vita: come tanti oggi nel Sud multietnico del lavoro precario, da call center o tiricini a costo zero e dell'emigrazione coatta per darsi una carta, e anche un po' di dignità, al di là delle favole che raccontano i politici.

Dopo Elisabetta, che ovviamente non ricorda nulla dell'agguato, c'è un omicidio: Elviro Gratta “il Furbo”, un balordo (e anche di questi il Sud è stracolmo, fra spaccio, rapine, ecc. vivono nel vuoto esistenziale più gramo) è trovato morto sulla bellissima spiaggia di Tramontone, con un cacciavite conficcato in petto, la stessa marca della serie nell'officina di Bo e dell'elettrauto Davide Indotto, che erano in tanti – conferma Fulvio Presta, che manda avanti un club nautico - a voler vedere morto.

Ovviamente, dalla provincia asfissiante tutti vogliono scappare, hanno sogni da realizzare e la vita è una sola: Bo “beve” delle chiacchiere sulla fidanzata e quindi se ne va con Samantha, una che gli sta dietro, giusto per sottrarlo all'amica Mariella. Archetipo anche questo: spregiudicata, abile con l'eros, cerca il lusso e il vuoto, e lo trova con quelli come lei, oggi in maggioranza.

Quando il plot si trasferisce in Romagna, i personaggi si liberano dei condizionamenti culturali della provincia e finalmente sono loro stessi, nel bene e nel male. E ovviamente sono vittime dei loro sogni confusi, prede degli istinti che senza più pressioni possono esprimersi, possederli, tra auto di lusso, prostitute asiatiche e protettori.

“La rosa violata” è un buon romanzo di formazione, di presa confidenziale con gli strumenti della scrittura. Procede a stop and go, con un occhio alla fiction tv e un altro a certi programmi dove la “nera” viene scannerizzata implacabilmente come si fa al bar sport, ma nel suo insieme convince e ha i suoi punti di forza nel mettere in evidenza con realismo la disgregazione del mondo rurale del Sud per far posto a una dimensione dell'esistenza priva di valori e di collante etico, in cui Bo, Mariella, Samantha, Elviro e gli altri personaggi alla fin fine sono tutti vittime della fine del mondo contadino e della sua socialità, galleggiano senza speranza di redenzione. Forse Aldo che resta a lavorare i campi è il più saggio perché non recide quel cordone ombelicale con la terra che è anche rifugio materno, edipico.

Poiché quelli che se ne vanno, anche quando riusciranno ad afferrare il capo della loro esistenza, saranno come animali in cattività, segnati nell'animo così tanto da essere quasi estranei a se stessi e alla terra che li ha partoriti come a quella che li ha accolti per farli vivere in un mondo falso. Irriconoscibili o comunque incapaci di trovare un equilibrio che renda la vita per quel si può gratificante, prima dell'arrivo della sera ungarettiana. Ora si attende il prossimo romanzo di Briganti, per vedere come prosegue la sua vena letteraria.

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